La scorsa settimana è iniziata la stagione delle trimestrali negli Usa. Secondo gli analisti, si potrebbe assistere alla prima contrazione degli utili dal 2016, oltre a un rallentamento nella crescita dei fatturati. Il Financial Times ha ipotizzato che le società dello S&P 500 potrebbero archiviare il secondo trimestre con utili in calo del 2,8%, un netto peggioramento dal -0,3% del primo, mentre i ricavi potrebbero crescere del 3,7% su base annua, il risultato peggiore dal terzo trimestre del 2016. Nel caso del comparto della tecnologia, la contrazione degli utili trimestrali potrebbe arrivare fino a quasi il 12%: il comparto dei semiconduttori è particolarmente esposto alla guerra commerciale Usa-Cina. Per gli analisti di FacSet, le aziende dello S&P 500 potrebbero riportare, su base annuale, un calo degli utili del 3% nel secondo trimestre dell’anno. Due trimestri consecutivi di calo degli utili non si vedono da tre anni. Il comparto bancario, per FacSet, potrebbe invece vedere crescere i profitti dello 0,5%.



La causa principale alla base di queste ipotesi di rallentamento per i risultati aziendali sono le tensioni commerciali tra Usa e Cina. Donald Trump, parlando alla stampa, ha detto che c’è ancora una “long way to go”, molta strada da fare, prima di arrivare a un accordo, di certo una dichiarazione che non piace ai mercati che vorrebbero invece lasciarsi alle spalle questa incertezza per dedicarsi al solo andamento dei dati macro e micro economici. Il timore che le attese di una contrazione degli utili societari Usa siano fondate viene confermato dall’andamento della Cina.



Il Pil cinese è cresciuto del 6,2% annuo nel secondo trimestre 2019, in ulteriore rallentamento rispetto al 6,4% dei precedenti due periodi e contro il 6,3% del consensus del Wall Street Journal. Si tratta della performance peggiore dal 1992. Su base sequenziale però la crescita del Pil, rettificata stagionalmente, è stata dell’1,6% contro l’1,4% precedente e l’1,5% atteso dagli economisti. Pechino ha fissato come target di espansione del Pil per l’anno in corso la forchetta compresa tra il 6% e il 6,5%. Oltre le stime anche i dati relativi a produzione industriale (aumento su base annua del 6,3%, sopra le attese di un +5,2% del +5% di maggio, il tasso minimo di crescita da 17 anni) e vendite retail per il mese di giugno (+9,8% su base annua, sopra il +8,5% delle attese e sopra il +8,6% di maggio).



Trump commentando il dato sul Pil cinese ha evidenziato come la politica dei dazi americani stia funzionando, una constatazione che però sembra non tenere conto degli effetti che questi dazi potrebbero avere, anzi probabilmente hanno già avuto, sui conti delle società dello S&P500. Come già detto, anche il primo trimestre aveva visto un peggioramento dei profitti aziendali, ma questo non ha impedito alla borsa Usa di continuare a crescere, facendo registrare nuovi massimi assoluti proprio nelle ultime sedute.

La spiegazione di questa apparente contraddizione è semplice: i mercati hanno dovuto incorporare durante la prima metà dell’anno nei prezzi le nuove aspettative riguardanti la politica monetaria della Federal Reserve, che è passata da un atteggiamento restrittivo, prevalente fino alla fine del 2018, a uno decisamente più accomodante, che dovrebbe portare a un taglio dei tassi, forse addirittura a due, nella seconda metà del 2019. Il presidente della Fed, Jerome Powell, parlando a Parigi alla Banca di Francia, ha dichiarato che le condizioni economiche non sono migliorate dalla riunione di politica monetaria di giugno, mentre Robert Kaplan, capo della Federal Reserve di Dallas, ha detto che l’effetto delle nuove tecnologie sui salari e sui prezzi è tale che l’inflazione dovrebbe rimanere bassa ancora a lungo, in pratica una luce verde a procedere con il taglio dei tassi.

L’effetto Fed rischia però ora di essere stato scontato per intero, e le borse potrebbero quindi dovere decidere se mantenere il loro atteggiamento rialzista anche nel caso le attese negative sui conti societari trovassero conferma nei fatti. Il rapporto prezzo/utili trailing (dati acquisiti) dello SP500 è a 22 circa, quindi un poco alto se confrontato con la media storica di 15,75: con l’economia che potrebbe passare dal 3% al 2% di crescita, la borsa sembra sopra valutata. Il rapporto prezzo/utili forward (proiettato in avanti, basato sulle stime) è invece di 16,75, molto più vicino alla media storica, utilizzando questa misura quindi la borsa non sarebbe sopra valutata.

Non bisogna comunque mai dimenticare che i mercati vivono di fatti ma anche di aspettative: nel caso un dato negativo sia comunque migliore delle attese è possibile che la reazione del mercato, che aveva già scontato lo scenario peggiore, sia di sollievo e che quindi le quotazioni salgano. I 3/4 circa delle 88 società che hanno presentato una guidance completa hanno tagliato le stime, ma i risultati spesso battono le aspettative, quindi questo pessimismo “preventivo” potrebbe anche portare alla fine a un rialzo della borsa. Ad esempio, Goldman Sachs ha registrato nel secondo trimestre un utile netto di 2,2 miliardi di dollari, in ribasso del 6,4% su base annua al di sopra delle attese dagli analisti (utile per azione a 5,8 dollari contro i 4,89 dollari attesi).

A conferma del fatto che le preoccupazioni maggiori non verranno dalle banche, c’è da osservare che JP Morgan Chase ha chiuso il secondo trimestre del 2019 con un utile netto di 9,65 miliardi di dollari, un vero e proprio record. La divisione Corporate&Investment banking di JP Morgan ha però riportato utili per 2,935 miliardi (ricavi a 9,64 miliardi), in diminuzione dell’8%, a causa delle maggiori incertezze macroeconomiche e geopolitiche. Non tutto quindi fila liscio anche per la banca guidata da Jamie Dimon. Citigroup ha invece riportato un aumento del 7% degli utili nel secondo trimestre a 4,8 miliardi di dollari, un risultato superiore ai 4,49 miliardi dello stesso periodo del 2018. L’eps è a 1,95 dollari, gli analisti di FactSet prevedevano un utile per azione di 1,81 dollari.

Per quanto riguarda Wells Fargo, l’ultimo dei giganti bancari che ha comunicato i propri risultati, il secondo trimestre è stato archiviato con un utile da 6,2 miliardi di dollari (+20% su base annua) e l’utile per azione è stato di 1,3 dollari, meglio degli 1,17 dollari attesi. I ricavi hanno raggiunto quota 21,6 miliardi, valore simile allo scorso anno e superiore ai 20,8 miliardi attesi. La banca ha però avvertito che le spese potrebbero essere nella parte alta della forchetta attesa per il 2019 e che anche nel 2020 potrebbero mantenersi su questi livelli elevati, motivo per cui la trimestrale non è stata accolta positivamente dal mercato.

Gli esperti, dai dati presentati dalle 4 maggior banche Usa, hanno però colto anche un rallentamento nella crescita dei mutui e un analogo rallentamento della attività manifatturiera, del comparto immobiliare e degli investimenti. Tutto questo per il momento è compensato dalla propensione alla spesa dei consumatori, come dimostra il dato sulle vendite al dettaglio di giugno (+0,4% a fronte di attese di +0,1%). È evidente che il taglio dei tassi, oltre a essere ormai dato per scontato, potrebbe portare più problemi, in particolare al settore dei finanziari, di quelli che risolverebbe: un calo della domanda, non tanto interna ma estera, non dipende al momento da una situazione monetaria avversa, ma dall’incertezza relativa alla guerra commerciale. L’imposizione di nuovi dazi su 325 miliardi di merci importate dalla Cina potrebbe dare la spallata finale a una crescita globale già debole.

Com’è noto finora le borse, in particolare quella Usa, ma anche quelle europee, hanno deciso di ignorare tutti i potenziali inciampi sul proprio cammino e di proseguire la scalata verso nuove vette. In queste condizioni ha poco senso fare le cassandre e prevedere futuri ribaltamenti del trend, almeno fino a che non compaiano segnali in questo senso. È tuttavia possibile notare che alcuni indici chiave non hanno ancora superato i massimi dello scorso anno e che fino a che non lo faranno il rimbalzo visto da fine 2018 sarà ancora da catalogare come la fase intermedia di una correzione complessa avviatasi tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 alla quale mancherebbe ancora tutta una fase ribassista, prolungata, per completarsi.

Un esempio lampante di questa situazione è l’Msci Word (quotato in dollari), indice che rappresenta l’andamento della borsa mondiale nel suo complesso, che viaggia ancora al di sotto dei massimi del 2018 a 2250 circa, soglia da superare per inviare un segnale convincente in favore del proseguimento del trend crescente.

In una situazione analoga versa anche il Dow Jones Transportation, indice che nella teoria di Dow viene usato come cartina di tornasole per il movimenti del più noto Dow Jones Industrial: senza la conferma da parte del Trasportation i movimenti dell’Industrial rischiano di dimostrarsi fragili. E il Transportation al momento quota molto al di sotto dei massimi dello scorso anno a 11624, una resistenza che dovrà essere superata per rendere credibili i recenti record da parte del paniere dei titoli industriali.

Ma la lista potrebbe proseguire: il Nyse Composite, indice della totalità dei titoli Usa, è attualmente in area 13200/250, mentre i massimi storici di gennaio 2018 sono a 13637 punti, l’S&P Banking, settoriale delle banche Usa, è in area 330 mentre i massimi del 2018 sono a 374 circa e i record del 2007 sono a 415 circa.

Guardando all’estero uno dei panieri sui quali concentrare l’attenzione per avere il polso della reale convinzione del mercato nel proseguire sulla strada del rialzo è il Topix giapponese (paniere più ampio del Nikkei), che veleggia attualmente in area 1570 mentre i massimi del 2018 sono a 1911 punti. Significativo anche l’andamento del Kospi coreano, visto da molti come il “Nasdaq d’Oriente”, che non riesce a salire oltre i 2100/150 punti mentre i massimi dello scorso anno sono a 2607 punti.

Solo quando anche questi importanti riferimenti abbandoneranno gli indugi e dimostreranno di essere in grado di mettere sotto pressione i massimi dello scorso anno sarà possibile guardare con fiducia al rialzo delle borse. Fino a quel momento meglio mantenere alta l’attenzione, senza necessariamente ridurre l’esposizione sull’azionario, ma al tempo stesso evitando di lasciarsi incantare dalle sirene di Wall Street, che vorrebbero farci credere che l’espansione a tempo indefinito dei listini non solo è possibile ma è anche probabile.