L’80% del petrolio che arriva in Giappone passa per il Golfo Persico, ecco perché il premier Shinzo Abe preme per mandare le navi della Jieitai, la forza di autodifesa giapponese, in quell’area. La motivazione non è solamente quella legata all’attualità:, il premier Abe vorrebbe modificare la Costituzione e arrivare alla creazione di un vero e proprio esercito, che non sia solo una forza di autodifesa. E un primo passo in questa direzione e già stato fatto, con l’acquisto degli F-35 americani. Del resto il fatto che tra Abe e Trump ci sia un buon rapporto non è una cosa secondaria: il Presidente americano, che per il momento non intende fare guerra all’Iran, ma solo dimostrare la compattezza di un ampio fronte che si oppone alla politica di Teheran, preme perché il Giappone ci metta, come si dice, la faccia. Il premio per questo impegno potrebbe essere quello di lasciare entrare il Giappone nel gruppo del Five Eyes (FVEY), un’alleanza di intelligence che comprende, oltre agli Usa che la guidano, anche il Regno Unito, l’Australia, il Canad e la Nuova Zelanda.
L’andamento delle elezioni del 21 luglio per la Camera dei consiglieri, la camera alta del Giappone, sembra confermare la possibilità che la strada segnata da Abe di vicinanza agli Usa sia percorribile, mentre resta probabilmente sbarrata quella di una modifica alla Costituzione nel senso di un’apertura a un diverso tipo di esercito.
La coalizione di governo del premier Shinzo Abe ha infatti confermato una solida maggioranza. Abe, entrato in carica nel dicembre 2012 con la promessa di far ripartire l’economia e rafforzare la difesa, è sulla buona strada per diventare il premier più longevo del Giappone se resterà in carica fino a novembre. Tuttavia, l’affluenza alle urne è scesa al di sotto del 50% per la prima volta in un’elezione nazionale dal 1995, un segno che molti elettori ritengono di non avere un’opzione interessante e non è stata raggiunta la maggioranza necessaria per avviare la revisione della Costituzione del Paese.
I liberal-democratici di Abe e il partito alleato di centrodestra, Komeito, hanno ottenuto più della metà dei 124 seggi disponibili nella camera alta a fronte dei 43 dell’opposizione, senza raggiungere tuttavia la soglia dei due terzi dei voti in entrambe le camere del Parlamento, che è quella da superare per potere attuare una revisione della Carta fondamentale (da sottoporre comunque poi anche a referendum).
Il Giappone sgomita quindi per mantenere il suo posto al tavolo delle maggiori potenze mondiali, e anche l’andamento della sua economia potrebbe aiutarlo in questo compito.
Il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, sostiene che l’economia giapponese non è più in deflazione. La banca centrale prosegue tuttavia il suo straordinario allentamento monetario. “L’inflazione CPI annuale è positiva e l’economia non è più in deflazione”, ha sottolineato Kuroda. L’inflazione è compresa tra lo 0,5% e l’1%. Il banchiere ha ribadito che la BoJ resterà espansiva a lungo per mantenere lo slancio verso il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione del 2%. Tuttavia, Kuroda ha ammesso le difficoltà di mantenere a lungo un allentamento monetario quantitativo e qualitativo così potente, gli analisti scommettono comunque che la BoJ manterrà bassi i tassi di interesse almeno fino alla primavera del 2020.
Secondo quanto comunicato dal ministero nipponico di Affari Interni e Comunicazione, l’indice dei prezzi al consumo del Sol Levante è salito in giugno dello 0,7% annuo, con lo stesso tasso registrato in maggio (0,9% il progresso di aprile) e in linea con il consensus. Il tasso d’inflazione core è invece sceso allo 0,6% annuo dallo 0,8% precedente (0,9% in aprile), anche in questo caso in linea con le attese degli economisti. Su base mensile l’indice dei prezzi è invece rimasto invariato (come in maggio), a fronte della contrazione dello 0,1% di quello core (0,1% il declino registrato anche in maggio).
La Bank of Japan è attenta anche al quadro internazionale. Kuroda ha infatti dichiarato che verrà valutato con molta attenzione l’impatto dei fattori di rischio globali sull’economia giapponese per indirizzare la politica monetaria. Nel corso di una conferenza del Fmi a Washington, Kuroda ha fatto luce sull’esperienza della BoJ nell’utilizzo di misure straordinarie di allentamento monetario nell’ultimo decennio, affermando che la banca centrale si è impegnata per la prima volta a controllare la curva dei rendimenti. “Esamineremo attentamente vari fattori di rischio, oltre agli sviluppi dell’attività economica e dei prezzi, nonché le condizioni finanziarie, e valuteremo i benefici e i costi degli effetti politici”, ha dichiarato Kuroda.
In generale non arrivano tuttavia segnali preoccupanti per l’Asia. L’Asian Development Bank ha confermato recentemente la stima di crescita per le economie emergenti dell’Asia (nonostante l’escalation nella guerra commerciale lanciata da Donald Trump contro Pechino), nel suo Asian Development Outlook Supplement, e ha soprattutto parimenti confermato le previsioni per la Cina, importante volano anche per l’economia giapponese, per la quale è attesa a una crescita del Pil del 6,3% e del 6,1% rispettivamente in 2019 e 2020. Certo, se le tensioni tra Usa e Cina dovessero continuare tutta l’economia asiatica potrebbe farne le spese e allora la situazione rischierebbe di complicarsi.
Le ultime indicazioni sulla materia lasciano qualche speranza di una soluzione. Bloomberg ha infatti riportato che Robert Lighthizer, il rappresentante al Commercio statunitense, sarà nei prossimi giorni a Shanghai per incontrare i rispettivi funzionari cinesi, una novità che il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, ha definito come un indizio promettente di ripresa del dialogo. La luce in fondo al tunnel tuttavia appare ancora lontana.
Kuroda ha dichiarato che “non è facile mantenere un forte allentamento monetario nel lungo termine per le conseguenze negative che esercita sui profitti delle istituzioni finanziarie”. Inoltre, ha poi aggiunto che “è difficile influenzare le percezioni del pubblico sui futuri sviluppi economici: in teoria, le banche centrali possono produrre effetti di allentamento monetario influenzando il comportamento delle persone. In realtà, tuttavia, il comportamento delle persone non sembra cambiare tanto come suggerisce la teoria, soprattutto quando l’orizzonte temporale diventa più lungo.” In altre parole, in assenza di una crescita robusta del Pil che sia anche percepita come tale da parte dei consumatori, si rischia di cadere nella trappola della deflazione. E l’atteggiamento dei consumatori diventerà di cruciale importanza quando a ottobre verrà attuato l’aumento dell’Iva dall’8 al 10%, deciso per sostenere lo Stato sociale.
Di fondamentale importanza per il mantenimento di un tasso soddisfacente di crescita dell’economia giapponese, oltre all’andamento di quella di Pechino, anche il comportamento di quella statunitense. In questa ottica i segnali, oltre a quelli provenienti dai dati macro, che non sono univoci ma in generale abbastanza buoni, sono incoraggianti.
John Williams, presidente della Federal Reserve di New York, ha infatti dichiarato di recente alla riunione annuale della Central Bank Research Association che “è meglio adottare misure preventive piuttosto che aspettare che si verifichi il disastro”. Williams, nota la Cnbc, ha tenuto un discorso in cui si discuteva su che cosa dovrebbero fare le banche centrali quando sono vicine allo “zero lower bound” (Zlb, ovvero tassi d’interesse intorno allo zero). Parole che sono state lette come l’ennesima conferma del probabile taglio dei tassi nel meeting del Federal Open Market Committee (Fomc, la commissione della Fed che si occupa di politiche monetarie) di 30-31 luglio. La Fed di New York ha però precisato che il discorso di Williams era puramente accademico e non era da intendersi come un riferimento alle attuali politiche del Fomc. A conferma di quanto i mercati, e non solo quello americano, siano in questo momento con gli occhi puntati sulla Fed, è il fatto che dopo le parole di Williams si è registrato un rialzo intorno all’1% per l’indice Msci Asia-Pacific (Giappone escluso).
E anche dall’indice Nikkei 225 arrivano effettivamente alcuni segnali di risveglio che potrebbero anticipare una ripresa del rialzo visto dai minimi di fine dicembre 2018 di area 18950, un rialzo che si era interrotto a fine aprile in area 22360. Nelle ultime giornate i prezzi si sono lasciati alle spalle la trend line ribassista proveniente dai massimi di ottobre 2018, in transito ora a 21460 circa, una resistenza che si era opposta fieramente a inizio luglio al rialzo e che coincide in questa fase esattamente con la media mobile esponenziale a 200 giorni. Se da un lato è vero che questo importante riferimento, sintesi della condizione della tendenza di medio lungo periodo, è orizzontale ormai da alcuni mesi (segnalando la presenza di un trend laterale), è anche vero che il superamento al rialzo della media è sempre un’indicazione, in questo caso positiva, da non sottovalutare. Quello che manca ora al Nikkei per inviare un convincente segnale di forza è la rottura in area 22360, dove si collocano i citati massimi di aprile, del 61,8% di ritracciamento del ribasso dal picco di ottobre 2018.
Questa percentuale di ritracciamento, ricavata dalla successione di Fibonacci, riveste un ruolo chiave nell’analisi dei grafici: è infatti considerata lo spartiacque che separa uno scenario correttivo, quindi un movimento temporaneo, da uno di inversione del trend precedente. Un esempio chiarificatore ci viene proprio dalla storia recente dell’indice: il ribasso disegnato dal 24 aprile al 4 giugno di quest’anno ha infatti ritracciato, ovvero percorso a ritroso, proprio il 61,8% del rialzo visto dai minimi di fine dicembre. Se il supporto di area 20280 avesse ceduto la fase discendente avrebbe potuto guadagnarsi il diritto di tornare a vedere i minimi del movimento precedente, quindi area 18950, il fatto che da quel supporto si sia invece realizzata una reazione consistente è un forte indizio in favore del proseguimento del rialzo avviatosi a fine 2018. Un indizio che troverebbe come detto nella rottura di 22360/70 una importante conferma. Oltre questi livelli gli obiettivi si sposterebbero a 23370 circa, lato alto del gap dell’11 ottobre, e a 24000 almeno. Discese nuovamente al di sotto dei 21000 punti farebbero invece temere un nuovo test di 20280, supporto al cedimento del quale tornerebbe a farsi prepotente il rischio di una evoluzione ribassista prolungata.
Lo studio del grafico del più ampio paniere Topix porta a conclusioni molto simili, confermando la validità del quadro prospettico ipotizzato. Anche in questo caso la flessione subita dai prezzi dai massimi di aprile si è limitata a ritracciare, con i minimi del 3 giugno a 1490 punti, il 61,8% del rialzo dai minimi di fine dicembre 2018, un’area di supporto dalla quale è partita una reazione che ha superato il 1° luglio (con un gap rialzista, a conferma della importanza del riferimento grafico scelto) la trend line ribassista proveniente dai massimi dello scorso ottobre, passante a 1540 circa, ma non ancora la media esponenziale a 200 giorni, in transito a 1600 punti circa. Alla rottura di area 1600 dovrebbe poi seguire il superamento di area 1633, massimi di aprile, e quello a 1670/75 del 61,8% di ritracciamento del ribasso dal picco di ottobre, per confermare la tenuta dell’uptrend nato dai minimi di dicembre e il suo proseguimento almeno fino a 1755, gap dell’11 ottobre scorso, poi sui massimi di area 1840. La violazione a 1515 della linea che sostiene il rialzo dai minimi di dicembre metterebbe fortemente in dubbio l’ipotesi rialzista.
Ulteriori indizi sulle possibilità di vedere salire la borsa giapponese potrebbero venire dallo studio del grafico dollaro/yen, il cui andamento storicamente è molto simile a quello dell’indice azionario. La borsa di Tokyo tende infatti a rafforzarsi in concomitanza delle fasi di yen debole contro dollaro, viceversa a scivolare verso il basso con lo yen in rafforzamento. Lo yen infatti è visto come una valuta rifugio ed è comprata duranti le fasi “risk off”, quelle in cui gli investitori si allontanano dalla borsa. La tendenza degli ultimi mesi, da fine aprile a fine giugno, è stata di rafforzamento dello yen, nelle ultime settimane si è invece assistito a un tentativo di rimbalzo grafico che però’ per il momento non ha superato resistenze di rilievo. La rottura di 109, massimo del 10 luglio, sarebbe un primo segnale in favore di un ulteriore deprezzamento della moneta nipponica, ma solo la rottura di area 110,25 potrebbe fare sperare in una vera e propria inversione di trend con lo yen in corsa per il ritorno sui massimi di aprile a 112 circa e successivamente su quelli di ottobre a 114,50 circa. La violazione di 106,50/107,00 darebbe invece un duro colpo alle prospettive di deprezzamento dello yen, un colpo che avrebbe ripercussioni negative anche sull’andamento del mercato azionario.