La Commissione Ue parla nuovamente di rallentamento della crescita economica. Nel corso delle ultime ore, in prospettiva dell’Eurogruppo, è stato sottolineato come sia necessario investire di più in ottica «preventiva» al fine di scongiurare una potenziale crisi. I due paesi destinatari dell’ennesimo monito sono l’Olanda e l’ormai precaria Germania. Si tratta di un vero e proprio sollecito soprattutto a seguito dei recenti dati che sono stati diffusi e che obbligano una riflessione.
Su queste nostre stesse pagine, abbiamo più volte soffermato l’attenzione su possibili indicatori e/o indici che avrebbero potuto rappresentare una fonte di potenziale allarme. Poco più di due mesi fa, lo scorso agosto, riportavamo i «tre fattori che devono (e dovranno) attirare l’attenzione nei prossimi mesi»: Pil, fiducia, e indice Pmi manifatturiero. Alle risultanze di quest’ultimi, avevamo collegato «le sorti dei seguenti destinatari: Francia, Spagna, Italia, Germania e l’intera Eurozona» con anche l’aggiunta del «“lontano” Giappone».
Analizzando i dati emersi, è opportuno riportare come: la Germania, a settembre, registra un Pmi manifatturiero a 41,44 (rispetto al 43,5 dello scorso agosto) ovvero il nono mese consecutivo negativo riportando – di fatto – la stessa nazione tedesca a valori in flessione che non si registravano dal giugno 2009.
Il Pmi manifatturiero rilevato (rif. settembre) da IhS Market sull’intera eurozona si colloca a 45,7 dal precedente 47 (rif. agosto) ovvero agli stessi valori del novembre 2012. Lo stesso Chris Williamson, Chief Business Economist, ha dichiarato: «Va di male in peggio lo stato di salute del settore manifatturiero dell’eurozona, con l’indagine Pmi che ha indicato la contrazione maggiore in quasi sette anni e che manda segnali sempre più preoccupanti per il quarto trimestre. Il Pmi di settembre mostra come la produzione manifatturiera stia crollando ad un tasso trimestrale superiore all’1%. Tale contrazione rappresenta un forte freno per il Pil durante il terzo trimestre. La Germania guida la contrazione con il relativo Pmi in discesa a livelli mai osservati dal 2009, ma Italia e Spagna stanno riportando crescenti riduzioni, mentre il settore manifatturiero in Francia e’ in una situazione di stallo. È possibile che il peggio deve ancora venire, infatti gli anticipatori delle tendenze (per esempio il rapporto ordini/giacenze) stanno peggiorando ulteriormente durante il mese. Le aziende inoltre sono rimaste abbastanza pessimiste per quanto riguarda l’anno prossimo. A causa delle preoccupazioni circa la guerra commerciale, i segnali di rallentamento della crescita economica globale e i timori di natura geopolitica, inclusa l’ansia crescente causata dalla Brexit, l’ottimismo scende infatti al livello più basso in circa sette anni. I tagli occupazionali al tasso più veloce da inizio 2013 aggiungono ulteriori preoccupazioni. Tale fenomeno non è solo indicativo di come il settore manifatturiero si stia preparando per ulteriori guai in vista, ma aggiunge inoltre il rischio che il deterioramento del mercato del lavoro potrebbe colpire le famiglie e il settore dei servizi» (fonte Radiocor).
Nel frattempo, a corollario dei suddetti dati e considerazioni, sia Fitch che la Wto tagliano le stime della crescita a livello mondiale: il periodico Global Economic Outlook predisposto dall’agenzia di rating statunitense, rileva come per l’anno in corso e il successivo 2020, il quadro sull’economia globale si sia «significativamente deteriorato». Inoltre, Brian Coulton, capo economista Fitch, ha tenuto a sottolineare quanto sia pesante il conto da pagare quale conseguenza dell’attuale conflitto commerciale tra Usa e Cina: «Ci sono pochi precedenti dagli anni Trenta a oggi in cui le prospettive di crescita sono influenzate in modo così significativo da turbolenze commerciali» (fonte Radiocor).
Anche in sede di Wto sorgono perplessità: si stima una crescita degli scambi (rif. 2019) pari a un +1,2% rispetto al precedente +2,6% mentre nel 2020 si prevede un +2,7% anziché il preventivato +3%.
Uscendo dai confini del Vecchio continente, in Giappone, si registra una “fiducia dei consumatori” in flessione a quota 35,6 punti (-1,5 pt riferendosi ai valori di agosto) con particolare penalizzazione del comparto dei beni durevoli che riportano un calo negli acquisti di 3,6 punti.
Alla voce Pil, sembra che nulla stia cambiando: i dati diffusi da più soggetti, confermano un arretramento che verosimilmente è circoscrivibile all’unità per l’eurozona mentre si pone sopra i due punti percentuali per gli Stati Uniti. L’Ocse, a livello mondiale, ha tagliato le proprie stime sul Pil portandole al +2,9% dal +3,2% (rif. 2019) mentre, per l’anno 2020, il calo stimato vede una crescita al +3% anziché il precedente +3,4%.
Se a questi dati economici, affianchiamo quelli che emergono sul fronte finanziario, vi riportiamo doverosamente – come in occasione del precedente intervento – quanto sta accadendo sui principali benchmark di riferimento. Analizzando le serie storiche (su base mensile) dell’indice “MSCI World Loc.” (rappresentativo della componente azionaria internazionale) e del “JPMorgan Government Bond Index” (asset class obbligazionaria internazionale), e applicando a entrambe il coefficiente di Hurst, si può solo confermare l’attuale stato di potenziale inversione ciclica che i listini stanno “anticipando” e che pertanto potrebbero subire nei prossimi mesi.
I dati – solo questi – stanno confermando (e anticipando) le diffuse perplessità dei molti attori internazionali: noi stessi, attraverso il nostro quotidiano lavoro di informazione, cerchiamo di mettere tutti voi a conoscenza dello stretto legame tra economia e finanza. Al mercato spetterà il verdetto finale, mentre tutto il resto sarà solo cronaca.