Dopo una settimana di vertiginose cadute, con un susseguirsi di segni meno a strapiombo che hanno bruciato centinaia e centinaia di miliardi, in chiusura di ottava le Borse hanno tentato il grande rimbalzo: Piazza Affari, per esempio, nell’ultima seduta ha riguadagnato più del 7%. Sta di fatto, però, che i mercati sono destinati a muoversi, ancora per un po’, facendo i conti con una volatilità molto elevata. Perché, con il Covid-19 che dopo aver colpito la Cina e messo in ginocchio l’Italia ora sta seriamente “contagiando” l’Europa e gli Usa, la domanda di fondo resta la stessa: quanto fa davvero paura il coronavirus ai mercati finanziari e all’economia reale? “L’impatto sull’economia globale – risponde Alessandro Parravicini, strategy advisor per Swan Asset Management SA a Lugano e autore del recente libro “Jungle Guide. Investire: il modo più difficile per fare soldi facili” – si farà sentire, eccome. Anche le stime del Fondo monetario internazionale e di molti altri istituti di previsione sono state riviste marcatamente al ribasso: il Pil mondiale nel 2020 dovrebbe salire del 2,6% quando si pensava che sarebbe cresciuto del 3,5%. Attenzione, però: per convenzione, se il Pil mondiale aumenta a un tasso pari o inferiore al 2,5%, equivale a una recessione globale, legata alle differenze di tassi di sviluppo e tassi demografici tra paesi sviluppati e paesi emergenti. Siamo sostanzialmente a uno stallo dell’economia mondiale”.



E in Italia?

Si pensava di crescere dello 0,6%, probabilmente faremo un -0,5%, perché l’emergenza coronavirus non coincide più con qualche settimana di rallentamento confinata nel primo trimestre, ma probabilmente ce la trascineremo anche per tutto il secondo trimestre. Due trimestri di quasi stop alla crescita, non solo italiana ma anche europea, sono molto penalizzanti.



Intanto cosa sta succedendo ai mercati? Fino a quando balleremo su questo ottovolante?

Al di là della vicenda coronavirus, bisogna tenere conto anche della guerra del petrolio che l’Arabia Saudita, rompendo il patto tra Opec e Russia, il cosiddetto Opec+, ha deciso di condurre, andando allo scontro frontale con il resto del mondo per difendere le proprie quote di mercato.

Con quali effetti sui mercati finanziari?

Da una parte, ha messo in crisi un settore, quello petrolifero, già mal messo; dall’altra, la decisione ha un effetto a cascata sul ciclo degli investimenti e sulla struttura stessa del mercato finanziario.



Perché?

Buona parte del mercato dei titoli ad alto rendimento, gli high yield, soprattutto in America è composto da società petrolifere, in primis quelle più esposte alle attività di esplorazione e perforazione. Società di media dimensione, con una capitalizzazione di qualche miliardo di dollari, che si finanziano sul mercato obbligazionario per sostenere le loro attività. Il problema è che sul mercato high yield, grazie alle operazioni delle banche centrali che hanno reso meno attrattivi i bond governativi, si sono buttati in tanti ed è diventato molto caro, creando una sorta di “turismo finanziario”.

Di cosa si tratta?

Visto che un terzo di tutte le emissioni in giro per il mondo credo abbia rendimenti risicatissimi se non negativi, per giustificare le performance anche degli operatori non specializzati hanno spostato quote, magari non rilevanti, dei propri portafogli proprio nel segmento high yield, acquistando per esempio Etf. Ora, con un buon 20-25% del segmento high yield americano formato da società petrolifere, se si vendono questi Etf in un mercato che è illiquido, perché le contrattazioni si svolgono tra soggetti privati, gli spread tra denaro e lettera si ampliano a dismisura.

Risultato?

Ci sono gestori che hanno portafogli super-conservativi che hanno registrato passivi, in una sola giornata, fino a 50-70 centesimi, che è tanta roba, specie per chi non ha in pancia titoli azionari. La liquidità scompare e spesso gli operatori per proteggersi cercano di coprirsi vendendo succedanei: non gli high yield, ma per esempio il future sull’S&P 500. Si tratta pur sempre di attivi rischiosi e, visto che un obbligazionario high yield viaggia a un terzo della volatilità di un azionario, anziché vendere tre punti di high yield si vende un punto di S&P 500. E questo ovviamente amplifica la reazione del mercato.

E’ stata una settimana di pesanti ribassi in Borsa, di spread in rialzo e quotazioni in picchiata. C’è il rischio che possa venir giù tutto?

No, assolutamente no. Innanzitutto, c’è una tale quantità di liquidità in circolazione che comunque a un certo punto basterà un catalyst, ovvero una buona notizia, tipo interventi fiscali di governi o istituzioni, per restituire un po’ di fiducia. In secondo luogo, i mercati sono cambiati: basti pensare alla maggiore liquidità legata ai vari Quantitative easing, allo sviluppo delle gestioni passive o ad algoritmo o al fatto che con la Mifid le banche e le società finanziarie hanno decisamente chiuso o ridotto le attività di market making e di trading, che non sono più convenienti.

Quindi?

Tutto questo fa sì che i fenomeni di correzione siano molto più veloci, bruschi e concentrati nel tempo. Ecco perché abbiamo l’impressione che il cielo ci stia cadendo addosso. Ma è solo la nuova natura dei mercati, che alternano lunghi periodi di calma irreale e di eccesso di ottimismo, come nel 2019, salvo poi, quando si verificano incidenti non previsti, assistere a questi andamenti a “V” molto violenti e profondi, a cui poi fanno seguito lunghi periodi di stabilizzazione. Non credo che cadrà tutto, però è vero che per riprenderci da queste mazzate, ci vorrà qualche settimana, se non qualche mese.

Molti economisti prevedono che l’andamento delle economie mondiali più che a “V” sarà a “L”, cioè caratterizzato da una pesante caduta e da un successivo andamento piatto. La sua previsione?

Era già un’opinione abbastanza diffusa. Rispetto ai mercati, il comportamento dell’economia reale, a partire dal secondo semestre 2019, aveva denotato uno scollamento: le Borse facevano intendere un andamento molto più brillante della crescita, che non c’era. E questo era soprattutto figlio della tanta liquidità e degli interventi della Fed. Guardando le Borse a inizio anno, si poteva pensare di avere una ripresa che nella realtà dei fatti era già irrealistica. L’economia si stava sì riprendendo, ma non a pieno regime. Ora, con l’emergenza coronavirus, è ovvio che la ripresa sarà molto lenta. A meno che non ci sia l’intervento, come auspico, da parte dei governi.

Un intervento concertato a livello europeo?

Difficile, perché ci sono ancora tante resistenze, mentre sarà più facile negli Usa, dove Trump deve difendere la sua rielezione. Prevedo che l’Ue si muoverà in ordine sparso, con tempistiche diverse, ma con interventi di stimolo fiscale dell’ordine di un punto percentuale del Pil, un po’ come successe dopo la crisi del 2012-2013.

A proposito di crisi, stiamo vivendo un nuovo 2008?

No. Nel 2008 abbiamo avuto un sistema finanziario virtualmente imploso, tanto che le banche non si prestavano più il denaro a vicenda, con il rischio che tutta l’architettura finanziaria mondiale finisse sottosopra.

E oggi?

C’è, è vero, una relazione con la reazione negativa dei mercati nelle ultime due settimane, per l’ampiezza e la severità degli storni o delle cadute dei titoli, ma in termini strutturali, per fortuna, l’attuale situazione è molto più gestibile.

In questa tempesta perfetta, dove imperversa il panic selling, che suggerimenti si sente di dare ai risparmiatori spaventati e disorientati per difendere i loro portafogli?

Ricordarsi sempre i motivi e gli obiettivi per cui si investe e sapere che bisogna ragionare sempre in prospettiva, perché il mondo non finisce domattina. Viviamo senz’altro un evento preoccupante, ma limitato nel tempo. Andare a modificare profondamente il portafoglio rispetto ai propri obiettivi è sempre un errore. Bisogna ricordarsi sempre perché si è comprato un titolo, un fondo, un Etf e chiedersi se quello che sta succedendo cambia in maniera strutturale il motivo per cui si è investito. Vale la regola di Peter Lynch, uno dei più grandi investitori di tutti i tempi: “Cerca sempre quelle situazioni in cui la percezione che ne hai è peggiore della realtà”.

(Marco Biscella)