Ça va sans dire. Al presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde è mancato solo questo inciso per sottolineare la temporaneità del fenomeno inflazionistico che in queste ore è divenuto ordine del giorno. Negli studi televisivi di “Che tempo che fa”, la Governatrice della Bce in risposta all’emozionato conduttore Fabio Fazio, ha prontamente così risposto: «Oenso che l’inflazione di questi giorni sia legata soprattutto a una serie di fenomeni temporanei; primo di tutti, il più importante soprattutto per l’Italia che lo subisce di più, il rincaro dell’energia».
Una considerazione molto netta che segue la recente affermazione della stessa Lagarde quando da Bruxelles, in sede alla commissione per gli Affari economici del Parlamento europeo, aggiornava il parterre con un: «L’inflazione si modererà il prossimo anno, ma ci vorrà più tempo di quanto inizialmente previsto».
Oggi, a distanza di pochi giorni e poche ore, i dati sul “caro vita” di alcuni Paesi europei sembrano contrastare questa consapevole e positiva view. «In Germania l’indice dell’inflazione, armonizzato agli standard Ue, è balzato al 6% a novembre su base annua dal 4,6% di ottobre» con «un rialzo tendenziale del 5,2%» ovvero «il maggiore incremento dal 1992» (Ansa). Anche in Spagna l’aria che si respira è verosimilmente uguale: 5,6%. In Italia – lo scrive Istat – le stime preliminari, a novembre, vedono un’inflazione che «accelera nuovamente, portandosi a un livello che non si registrava da settembre 2008» con un indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, in aumento dello 0,7% su base mensile e del 3,8% su base annua (da +3,0% del mese precedente).
Se, poi, a tutto questo affianchiamo il 4,9% (in aumento rispetto al 4,1% di ottobre) dell’Eurozona attraverso la stima flash di Eurostat, l’intero quadro assume connotati ancor più complessi rispetto alla dichiarazione della Presidente Lagarde. Nonostante questo apparente contrasto, l’attuale serenità alla base del pensiero della leader della Bce, deve solo rassicurare tutti. Il motivo? Molto semplice. I picchi inflazionistici di queste ultime ore non possono essere considerati inaspettati e, a onor del vero, l’insieme di queste rilevazioni non possono destare stupore né tra gli addetti ai lavori, né tra il pubblico dei risparmiatori.
Era giugno quando su queste nostre pagine, mettevamo in guardia sulle possibile «conseguenze (inevitabili) dell’inflazione sui bond». Era luglio quando il timore di «un’ombra sull’inflazione» prendeva forma. Era agosto quando «la paura dell’inflazione può diventare investimento» e, infine, era settembre quando «dietro il balzo del Pil avanza l’ombra minacciosa dell’inflazione».
Oggi, dicembre, è giunta la (giusta) conferma. Non si tratta di un mero esercizio (magari autocelebrativo) del più classico e scontato “l’avevamo detto” (anzi scritto), ma molto di più. Attraverso questo nostro “informare”, allo stesso tempo, abbiamo evidenziato quanto poteva accadere (poi accaduto), illustrato (poi realizzato), il tutto all’insegna della massima trasparenza e puntualità ovvero mediante l’utilizzo dei soli numeri. Tutto il resto non conta e, oggi, ancora una volta, “le chiacchiere stanno a zero”.
Un quesito sporge spontaneo: ma durante l’evolversi di questo “fenomeno” (chiamato inflazione) il mercato come si è comportato? Presto detto. Prendendo come riferimento lo stesso benchmark Bloomberg Barclays Capital US Government Inflation-Linked Bond citato lo scorso agosto, la rivalutazione di quest’ultimo, è assai eloquente: +1,79%.
Troppo poco? Non è nostro compito giudicare, ma è indubbio come questa performance possa essere considerata un significativo risultato nonostante il contesto. Ça va sans dire.
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