Banche centrali protagoniste durante l’intera ottava che si è conclusa. La scelta monetaria che ha prevalso in capo ad ogni governatore è stata quella del rialzo dei tassi di interessi con eccezione per il Giappone dove la BoJ ha mantenuto invariata la sua politica e la Turchia che, invece, ha tagliato di 100 punti base. Inutile dirlo, ma il tanto atteso appuntamento era quello riconducibile alle mosse della Fed che, attraverso il suo aumento dello 0,75% (con decisione unanime), ha archiviato il quinto incremento di cui il terzo consecutivo pari a quest’ultima entità.
Se l’ammontare di questo rialzo era per lo più scontato, sia le previsioni in ambito di inflazione che di crescita economica hanno tenuto in tensione gli operatori finanziari internazionali. La prima viene vista al 5,4% al termine dell’anno e in deciso calo nei successivi: 2,8% (2023), 2,3% (2024) e 2% nel 2025; il secondo fattore, invece, riscontra una crescita a stelle e strisce in netto ridimensionamento: per quest’anno Pil a +0,2% (rispetto al +1,7% della stima precedente), a seguire un +1,2% per il 2023, +1,7% nel 2024 e infine +1,8% per il 2025. Se già alla vigilia dell’importante appuntamento i mercati obbligazionari statunitensi avevano anticipato le temute mosse ritracciando rispetto all’ottava precedente, di fatto, a seguito dell’annuncio da parte della Fed, hanno ulteriormente consolidato la debolezza dell’intero comparto (rif. decennale Usa) iniziata a marzo 2020: rendimento in salita con nuovi massimi di periodo a oltre area 3,55% e drastica flessione dei corsi con aggiornamento dei minimi di anno sotto soglia 112 punti (livelli dell’ottobre 2008). A confermare ancor più questa situazione di difficoltà per l’economia americana giunge il consolidamento dell’inversione della curva dei rendimenti tra i titoli a due e dieci anni con un YTM (yield to maturity) oltre il 4% per lo short term (valori del novembre 2007).
Se oltreoceano il futuro appare all’insegna di una ormai certa recessione (nonostante questo status venga sminuito da molti), anche nel Vecchio continente le prospettive d’insieme emerse non consentono una visione ottimistica. La Bce, mediante la diffusione del periodico Bollettino economico, ha evidenziato (confermando) il destino della propria politica monetaria: «Il Consiglio direttivo si attende di aumentare ulteriormente i tassi di interesse nelle prossime riunioni per frenare la domanda e mettere al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative d’inflazione».
E per quest’ultima, la stessa banca centrale, identifica i possibili scenari: «Le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate a settembre 2022 dagli esperti della Bce prevedono che l’inflazione complessiva si manterrà elevata nel breve periodo, per poi tornare a scendere verso una media del 5,5 per cento nel 2023 e del 2,3 per cento nel 2024. Per quanto riguarda il tasso di crescita sui dodici mesi dell’inflazione relativo al quarto trimestre dell’anno, si prevede che sia pari al 9,2 per cento nel 2022, al 3,3 nel 2023 e al 2,2 nel 2024» che paragonato alle precedenti stime viene commentato in: «Rispetto all’esercizio previsivo condotto dagli esperti dell’Eurosistema nello scorso giugno, l’inflazione complessiva è stata rivista al rialzo in misura considerevole per il 2022 e il 2023 (rispettivamente di 1,3 e 2,0 punti percentuali) e in modo lieve per il 2024 (0,2 punti percentuali)». Si tratta di un insieme di valori che se colti nel loro complessivo parallelismo identificano uno scenario futuro caratterizzato da tinte molto fosche.
Dal punto di vista prettamente operativo, causa l’incertezza di fondo, i mercati internazionali hanno capitolato in territorio negativo senza esclusione di alcuna asset class. Componente azionaria, obbligazionaria e materie prime hanno registrato flessioni generalizzate la cui unica differenza è da ritrovare nella sola entità. A confermare il ritorno (mai scomparso) di una “paura latente” giungono i valori finora raggiunti dal consueto indice Vix: con un massimo settimanale a 32,31 e una chiusura weekly a quota 29,92 punti, per l’ottava in corso si potrebbe riscontrare un’accelerazione oltre area 31,37 con plausibile formazione di nuovi rialzi e conseguimento di massimi oltre soglia 32,44.
Il mercato azionario (rif. MSCI World Usd) è in significativo territorio negativo. La sua attuale impostazione conferma uno stato di profonda debolezza che trova la sua (ennesima) conferma dal punto di vista grafico: area 2.524 punti (transito della media mobile a 200 osservazioni settimanali) è stata violata al ribasso e, questa sua importante valenza (negata), appare irrimediabilmente foriera di potenziali downside con prossimo target in corrispondenza di soglia 2.277,67 punti. Solo il ritorno delle quotazioni al di sopra della stessa media mobile potrebbe calmierare gli stati d’animo della parte venditrice che, al momento, ha prevalso da ben oltre sei settimane.
Sempre rimanendo in ottica equity è opportuno rilevare la delicata fase di mercato che Piazza Affari sta attraversando.
A poche ore dall’esito definitivo delle elezioni politiche, il principale indice azionario domestico (rif. Ftse Mib), ha subito una pericola flessione con quotazioni che, anche in questa occasione, vedono gli scambi al di sotto dell’importante media mobile a 200 osservazioni su base weekly (area 22.424 punti). Nel brevissimo termine potrebbero essere testati i minimi di anno (20.420,57) con conseguenze negative qualora il livello dei prezzi non dovesse ritornare (chiusura settimanale) oltre quota 21.060,07 punti; se quest’ultimo scenario non trovasse corrispondenza, il destino del nostro principali listino potrebbe vedersi veicolare i successivi scambi in direzione di soglia 19.960,64 con serie implicazioni ribassiste in ottica di breve e medio termine.
Ancora un pesante ribasso ha caratterizzato l’andamento del benchmark obbligazionario JPM GBI Gl. Usd: ora, ammontano a sette (rispetto alle ultime otto), le settimane contraddistinte da un saldo finale negativo con una equivalente perfomance negativa (da inizio anno) pari a circa venti punti percentuali e un ribasso complessivo (da gennaio 2021) di poco inferiore al 25%. Le prospettive di brevissimo periodo vedono una prima positività solo in caso di prezzi al di sopra dei 472,91 punti: da segnalare, inoltre, la diffusa debolezza sui contratti futures riconducibili ai principali decennali. Al momento, l’intero comparto bond, appare irrimediabilmente compromesso in ottica di allocazione tattica viceversa, dal punto di vista strategico, gli attuali rendimenti (soprattutto sulla parte breve della curva dei singoli Paesi) potrebbero rappresentare una buona alternativa (per una parte) rispetto alla quota cash del portafoglio.
Le commodities (rif. CRB Index) vivono nella loro continua debolezza iniziata a giugno. Le attuali quotazioni sembrano non essere sufficientemente forti per poter arginare una nuova fase ribassista e, causa il recente indebolimento dell’intero comparto energy, le più immediate proiezioni vedono nuovi minimi con potenziale estensione (over weekly) fino ad area 241,84 rispetto agli odierni 268,74 punti. Tra le materie prime appartenenti ai rispettivi basket (energy e metals) verrà monitorata attentamente la dinamica dei prezzi del nickel che, in caso di superamento di quota 25.000, vedrebbe un ulteriore apprezzamento con obiettivo oltre area 26.050.
In ambito valutario è importante riportare la significativa flessione del principale cross Eur/Usd che, rispetto alla parità di inizio settimana, ha poi visto crollare gli scambi fino al raggiungimento di 0,966. Solo una ripresa dei corsi (oltre il rapporto 1 a 1) coinciderà con il primo chiaro segnale di natura operativa all’insegna di possibili acquisti; pertanto, al momento, riteniamo opportuno osservare senza alcun intento di ingresso.
Nonostante la negatività che sta accomunando le diverse asset class, in questo ampio e complesso quadro finanziario sia la debolezza delle materie prime che quella riconducibile al rapporto Eur/Usd non ci stupiscono e, parallelamente, ci offrono (seppur lieve) un primo barlume di luce in prospettiva di ridimensionamento dell’inflazione. I tempi necessari saranno ancora molto lunghi, ma, confidiamo di poter assistere a primi miglioramenti nelle prossime osservazioni.
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