Il nuovo anno è iniziato all’insegna dell’ottimismo. Una generalizzata e ritrovata positività che vede chi più, chi meno, manifestare – nel corso delle ultime ore – questo quasi dimenticato stato di grazia. A motivarne la sortita sono i recenti dati diffusi da S&P Global che, attraverso la consueta pubblicazione dei rapporti sul settore manifatturiero (Indice PMI Eurozona), ha confermato il buon andamento dell’ultima parte del 2022. Sostanzialmente, dalla consultazione di ciascun report, emergono risultanze positive su ogni Paese analizzato, ma, nulla togliendo all’oggettività di quanto riportato è, però, anche opportuno sottolineare come tali rilevazioni non siano sufficienti per decretare un cambio di rotta in ambito economico. È bene, pertanto, chiarire la materia attingendo alla fonte diretta S&P Global e al suo documento reperibile nella cosiddetta sezione “Materiale informativo PMI”.



Fin da subito l’informativa presenta un titolo eloquente: “PMI® Il principale indicatore economico mondiale”. Scorrendo nella consultazione si apprende come «Il Purchasing Managers’ Index® (PMI®) si basa su indagini condotte mensilmente su un gruppo di aziende accuratamente selezionate che rappresentano le economie mondiali principali e quelle in via di sviluppo» ovvero «Più di 27.000 aziende monitorate mensilmente» con «Più di 4.000 indicatori economici». Sempre nella pubblicazione emerge in modo chiaro l’utilità del cosiddetto “principale indicatore economico mondiale”: «Il PMI fornisce in anticipo indicazioni di quello che sta realmente accadendo nel settore privato, monitorando i cambiamenti di parametri quali la produzione, i nuovi ordini, i livelli di magazzino, i tempi di consegna dei fornitori, i livelli occupazionali ed i prezzi». Guardando ai numeri, il panel oggetto di analisi, è davvero imponente: «Più di 40 nazioni monitorate, l’86% di copertura del Pil globale».



Ancora nell’informativa viene indicata la corretta interpretazione del dato: «Gli indici di diffusione sono calcolati per ogni variabile. Questi indici variano tra il valore 0 e 100, con una soglia di non cambiamento rispetto al mese precedente rappresentata dal valore di 50.0. Risultati superiori a 50.0 indicano un miglioramento o un aumento rispetto al mese precedente. Risultati inferiori a 50.0 mostrano un peggioramento o un calo rispetto al mese precedente. Più aumenta la differenza dal valore di 50.0, più aumenta il tasso di cambiamento segnalato. Agli indici viene applicata una correzione stagionale. Le indagini monitorano una vasta gamma di economie e di variabili economiche utilizzando la stessa metodologia nei vari paesi, è perciò possibile creare comparazioni dettagliate tra varie economie, attività e settori».



A confermare la bontà dell’indice viene riportato come l’impiego dei “Dati d’indagine accurati e puntuali” abbiano anticipato importanti eventi: «Il PMI dell’Eurozona è stato il primo indicatore economico a segnalare il forte crollo del Pil dell’eurozona durante la crisi finanziaria globale di fine 2008, la recessione nel 2011/12 durante la crisi del debito sovrano e la conseguente ripresa economica».

Complessivamente, stando a quanto appreso, identificare questo indice come “Il principale indicatore economico mondiale” sembra essere assai riduttivo: vorremo, infatti, accostarlo a una neonata pietra filosofale dell’economia che, beneficiando delle sue risultanze, agevolerebbe chiunque lungo l’impervio e tortuoso cammino della gestione dei propri averi. Ma, come spesso accade, la semplificazione (o cosiddetta ricerca di scorciatoie) nel contesto finanziario, ha destino pressoché certo e strada ancor più breve poiché accidentata.

Accantonando la teoria, abbiamo ritenuto opportuno “verificare sul mercato”, l’effettiva validità operativa dell’indice finora trattato e, comparando la serie storica (2008-2022) dell’indice PMI Composite (rif. Eurozona) con il benchmark azionario Eurostoxx 600, la sintesi che ne consegue è contrastante.

Le conclusioni: nel periodo analizzato si possono individuare sei violazioni (rialzo/ribasso) dell’area 50 punti. Assumendo come segnale di ingresso/uscita sul mercato i valori di entità superiore/inferiore a quest’ultima soglia, il benchmark europeo ha premiato questa strategia solo in tre occasioni: dal giugno 2008 all’ottobre 2009 (evitato un ribasso del 16,93%), dal luglio 2013 al febbraio 2019 (beneficiato di un rialzo del 23,02%), così come nel recente luglio 2020/luglio 2022 (+15,91%). Nelle restanti osservazioni (escludendo il periodo febbraio 2019/luglio 2020 poiché sostanzialmente invariato) la dinamica dell’asset class azionaria ha, di fatto, replicato in controtendenza rispetto all’interpretazione dello stesso indice PMI: ottobre 2009/agosto 2011 (perdita del 7,46%) e agosto 2011/luglio 2013 (mancato guadagno del 32,86%).

Siamo consapevoli che il tema trattato sia molto tecnico e per “addetti ai lavori”, ma, al tempo stesso, abbiamo ritenuto doveroso dimostrare – con i sempre e soli numeri – la bontà (o meno) di una presunta e assai improbabile risoluzione all’annoso problema che caratterizza la gestione delle proprie finanze: i falsi miti.

Pertanto, l’utilizzo dell’indice PMI nelle sue varie forme (manifatturiero, composite, ecc.), è un mero strumento di analisi decisamente utile se accostato ad altri numerosi indicatori che, nell’insieme complessivo, agevolano una corretta impostazione operativa. Altre interpretazioni o semplificazioni non necessitano di ulteriori commenti.

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