Il mercato azionario statunitense continua la sua crescita registrando nuovi massimi storici e aggiornando gli stessi con il trascorre del tempo. I record – l’ennesimo anche ieri – non fanno più notizia e neppure tra gli operatori queste quotazioni appaiono fuori luogo. Guardando alla storia degli ultimi 18 mesi qualcuno è rimasto sicuramente fuori dal mercato azionario: non solo quello Usa, bensì l’intera asset class. Fatta eccezione per coloro che si caratterizzano per un approccio prudente (escludendo di fatto la componente equity nel proprio portafoglio), per tutti gli altri investitori maggiormente propensi al rischio la cavalcata imperante degli indici azionari ha quasi certamente escluso la piena partecipazione alle performance finora realizzate.
Il trascorrere di quest’ultimo anno (o poco oltre) ha certamente messo a dura prova la fiducia e la pazienza in gran parte di quelle persone “abituate” a rischiare con una cosiddetta «parte del mio patrimonio». Se da un lato la pandemia ha pesantemente influenzato la sfera soggettiva di ognuno, da un altro punto di vista, invece, il livello dei prezzi raggiunti già sul finire del 2019 aveva in qualche modo rallentato l’entusiasmo nell’investire in azioni.
È innegabile: da oltre un anno a questa parte si continua ad ascoltare, osservare e leggere di quotazioni ben al di sopra dei propri valori fondamentali. I dati sono oggettivi, ma la loro valutazione deve però essere puntualizzata nell’interesse di coloro che ne usufruiscono. Anche per chi scrive gran parte degli attuali rapporti sono senza ombra di dubbio alti; parallelamente, però, è doveroso ricordare il contesto dell’analisi alla quale si ricorre guardando soprattutto all’intera e precedente storia.
Facendo una delle più classiche verifiche, ovvero quella del famigerato “senno di poi”, a novembre 2019, su queste nostre pagine, riportavamo all’attenzione di voi lettori l’inesatta assunzione di «valore raggiunto dalla borsa ritenuto troppo “caro” rispetto ai reali fondamentali».
In tale occasione soffermavamo la nostra analisi al principale indice azionario mondiale (rif. S&P 500) e all’impiego di due indicatori: il più comune P/E (Price/Earnings) e il meno impiegato Cape (Cyclically adjusted price-to-earnings ratio) di Robert Shiller. Entrambi si presentavano elevati, ma, nonostante questo, avevamo anche evidenziato la loro entità come ben distante da valori eccessivi già registrati nel corso della storia. Altri analisti, invece, tralasciando quest’ultimo fondamentale aspetto, hanno dichiarato la loro visione sullo stato del mercato ritenuto “caro” se non addirittura, talvolta, “troppo caro”.
Oggi – a distanza di oltre un anno – la prova dei fatti: i rispettivi ratios impiegati sono ancora aumentati. Il primo è passato dal precedente valore prossimo ad area 20 all’attuale ammontare di oltre 42 punti, mentre il secondo, rispetto ai 30 punti di novembre 2019, si è portato a ridosso dei 37. Nel frattempo, però, in poco meno di 18 mesi, l’indice S&P 500 ha conseguito una performance complessiva di oltre trenta punti percentuali pari al 31,85%.
A conclusione del 2019 il mercato azionario statunitense – per alcuni – risultava “caro” (in funzione degli indicati rapporti P/E e Cape) e quotava poco sopra i 3.100 punti. Oggi, nel corso del primo quadrimestre 2021, le quotazioni sono a 4.100 punti e gli stessi fattori patrimoniali sono ancor più elevati, ma comunque distanti dai loro valori massimi storici. Cosa ne possiamo ricavare?
Al quesito cerchiamo di rispondere includendo un nuovo supporto: rispetto ai precedenti indici (riconducibili a valutazioni di natura fondamentale), ora impiegheremo un cosiddetto indicatore di sentiment (questa volta di natura tecnica) ossia un metaforico termometro che ci rappresenterà l’attuale status del mercato. Nella fattispecie si tratta dello strumento denominato Daily Sentiment Index che, mediante una sua escursione indicizzata ai valori 10% (bottom) e 85% (top), ci sintetizza graficamente i livelli minimi o massimi delle quotazioni in essere.
Osservando l’insieme delle rilevazioni l’interpretazione è alquanto intuitiva: il mercato si trova in una zona di elevata incertezza e potenziale rischiosità. Un discesa dei prezzi (anche significativa) non potrà essere esclusa e, se così avverrà, non potremmo dire di non essere a conoscenza di questa plausibile realtà. Nonostante l’evidenza riportata, dal punto di vista fondamentale il mercato non può essere ritenuto “caro” mentre invece di “caro” ci potrebbe essere il costo nell’aver ignorato questo ulteriore elemento di analisi.
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