Non c’è più lo spread di una volta. Sì, proprio quel tanto e temuto differenziale che catalizzava le argomentazioni di molti per lo più improvvisati commentatori economici. Oggi, rispetto al passato, l’andamento quotidiano di questo “indicatore” sembra passare sottotraccia: 180 o 190 punti non destano più clamore. Tutti tacciono, fatto salvo quando si oltrepassano alcuni valori che, solo perché caratterizzati da cosiddette cifre tonde (anche dal punto di vista estetico), vengono poi catalogate come “soglie psicologiche”. Un esempio? I 200 punti. Che fascino vedere quei due zeri uno accanto all’altro. Diciamo la verità: ma quanto ci manca leggere o ascoltare di come sta andando “lo spread”? Il nostro spread. Ma quanto manca quel brivido nell’apprendere che migliora o peggiora in base agli intenti di soggetti appartenenti a un complotto contro il nostro Paese?
È vero: ne abbiamo viste, lette e sentite di ogni tipo. Probabilmente, in particolari momenti (soprattutto in anni ormai molto passati), qualcuno poteva anche nutrire soddisfazione in questa collettiva diffamazione. Una sferzata di pessimismo ai quattro venti: finalmente c’è qualcosa, lo spread appunto, che misura e dimostra oggettivamente al resto del mondo a quanto ammonti la nostra inefficienza strutturale di Paese. Una vera e propria forma di masochismo puro. Però, a conti fatti, così e stato.
Oggi, però, senza nulla togliere a nessuno, l’importanza attribuibile allo spread è assai relativa. Avere un differenziale che muta con il trascorrere delle giornate non identifica il vero problema poiché, essendo una mera sottrazione tra i valori di rendimento tra due elementi (titoli decennali italiani e tedeschi), il risultato finale non rappresenta l’effettivo quantum del contendere. Avere uno spread a 200 punti con rendimenti di poco superiore all’1% è decisamente meno problematico rispetto ad avere i medesimi 200 punti, ma con soglie di rendimento oltre il 4% (ovviamente in capo all’Italia).
Osservando agli attuali valori (area 180 punti) è facilmente verificabile come, il peso di questi ultimi sia molto diverso rispetto ai sempre 180 punti di marzo o maggio 2020: tre anni fa, l’allora decennale italiano vedeva gravitare i propri rendimenti attorno al punto e mezzo percentuale mentre, oggi, invece, tale entità vede oltrepassare abbondantemente il 4%. Ha ben ragione, pertanto, il Capo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia Sergio Nicoletti Altimari che, nel corso della sua recente testimonianza alla Camera dei Deputati, ha sottolineato: «Come ricordato dal Governatore pochi giorni fa, sebbene la prudente azione di politica di bilancio intrapresa per quest’anno abbia contribuito a contenere lo spread dei titoli di Stato italiani, esso rimane inaccettabilmente elevato. Oltre a incidere negativamente sui conti dello Stato, lo spread si traduce in un costo aggiuntivo e quindi in uno svantaggio concorrenziale, per tutte le imprese italiane che emettono debito sul mercato».
Quel citato «costo aggiuntivo», però, attraverso la sola sintesi dello spread non permette l’individuazione del vero e proprio problema (maggior costo) per le casse dello Stato. Come già indicato, introdurre altri parametri (rif. Euribor), quali ulteriori elementi di cronaca finanziaria giornaliera sarebbe opportuno: proviamo a immaginare come se, nei mesi scorsi, si fosse data maggior evidenza alla recente evoluzione (passaggio da valori negativi agli attuali positivi). Probabilmente qualcuno si sarebbe mosso per tempo.
A sintetizzare questo complessivo stravolgimento del “mercato dei rendimenti” ci può essere di aiuto il recente rapporto redatto da ABI (rif. Monthly Outlook di gennaio) che, nella sua sezione dedicata alla raccolta bancaria, riporta “In aumento il Rendistato e i titoli pubblici”: «Nel mese di dicembre 2022 il rendimento lordo sul mercato secondario dei CCT è risultato pari a 2,50% (2,42% il mese precedente e -0,21% un anno prima). Con riferimento ai Btp, il rendimento medio è risultato pari a 3,61% (3,55% il mese precedente; 0,93% un anno prima). Il rendimento medio lordo annualizzato dei Bot, infine, è passato nel periodo dicembre 2021-dicembre 2022 da -0,63% a 2,26%».
Si tratta di una crescita silenziosa, sicuramente non pervenuta a tutti coloro che, osservando il solo spread, hanno, di fatto, sprecato un’eventuale opportunità. Guardando al futuro prossimo, si teme come si possa ulteriormente perdere tali occasioni se, ancora una volta, lo sguardo e l’ascolto siano esclusivamente orientati al solo e ormai accantonato spread.
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