Una settimana fa, in queste stesse ore, si stava decidendo sulla sorte dell’ex colosso finanziario elvetico Credit Suisse. Possiamo immaginare come, nello stesso frangente, alcuni membri della cacciatrice UBS erano in procinto di contabilizzare almeno mentalmente il fruttifero bottino che a poca distanza avrebbero, poi, incassato sulla carta.
La preda, inerme, attendeva passiva il trascorrere degli eventi. Oggi, ma ancora in vita, a leccarsi le ferite è un altro primario istituto bancario europeo che, trovandosi nella già affaticata economia tedesca (la Germania), ha subito l’ondata di una speculazione che trova i propri artefici manifestare la loro stessa volontà di attacco attraverso un opposto gesto: quello di un istinto di protezione.
Sul finire della settimana che si è conclusa, l’arma utilizzata come mezzo per proteggersi sono stati i credit default swap o più comunemente conosciuti perché in forma abbreviata CDS. Nella sostanza sono strumenti che fungono da assicurazione in caso di dissesto finanziario del soggetto assicurato e, proprio in queste ultime ore, il bisogno (apparente) di salvaguardarsi, incombe a sfavore dell’importante banca tedesca Deutsche Bank. Non sta a noi giudicare sulla fondatezza delle difficoltà (presunte o veritiere) in capo a qualcuno, ma, allo stesso tempo, possiamo serenamente constatare come alla già presente incertezza economica internazionale se ne è aggiunta una ulteriore di natura finanziaria. Il trascorrere delle prossime giornate decreterà, o meno, sulla vera e unica realtà dei fatti.
Oggi, però, guardando al recente dossier Credit Suisse-Ubs, alcuni utili spunti di riflessione possono emergere soprattutto su quella sfera che, apparentemente, si è caratterizzata per le successive conseguenze post fusione. Stiamo parlando del comparto obbligazionario che, nello specifico caso elvetico ha visto azzerati particolari tipologie di strumenti finanziari, ma, in un ambito più generale ed esteso, sembra ancora poter essere vittima di ulteriori sventure.
In passato avevamo soffermato la nostra attenzione su questa delicata asset class e, a novembre dello scorso anno, iniziavamo a manifestare interesse sulla bontà di un primo approccio ai più elementari titoli di Stato. È opportuno ricordare come, nel nostro stesso intervento, per meglio contestualizzare l’intera valutazione, si faceva ricorso a uno strumento di analisi denominato ICE BofA MOVE Index che, come riportato, veniva «più comunemente identificato con MOVE o “Vix del mercato obbligazionario”».
Questo indice, mostra alle attuali quotazioni valori prossimi ad area 180 punti che, nella sua scala temporale lo vedrebbero riportato nel passato al giugno 2009.
Da un’analisi più circoscritta ai recenti 24 mesi e, più attentamente alla dinamica riscontrabile da inizio anno, emerge una variazione di prezzo che parte da un livello di 113 punti (dicembre 2022), giungere a quota 98,99 punti (febbraio), per successivamente inanellare una vera e propria verticalizzazione rialzista che, concretamente, raddoppia il valore ad oltre 198 punti in occasione della settimana con oggetto l’operazione societaria Credit Suisse-Ubs.
Colti da questa “curiosa” correlazione, e ancor più spinti da una più fervida immaginazione nello scovare un potenziale legame anticipatorio tra tale indice e il recente accadimento elvetico, abbiamo focalizzato il nostro punto di vista sull’ultima parte delle rispettive serie storiche di MOVE e CDS a 5 anni riconducibili alla ex banca svizzera Credit Suisse.
I numeri, senza alcun dubbio, parlano sempre chiaro e, in questo specifico arco di tempo, emerge questo: a inizio febbraio il MOVE chiudeva a 97,33 mentre i CDS registravano 281,73 punti (soglia fin troppo elevata rispetto alla media del settore). Per l’intero mese, il “Vix obbligazionario” incrementava i propri prezzi fino a quota 123,60 (fine febbraio) e così, parallelamente, i “CDS svizzeri” approdavano a 345,09 punti. Nelle successive giornate, ovvero dallo scorso 9 marzo, il MOVE proseguiva la salita non più mediante una crescita costante, bensì con un’oggettiva impennata: dai 129 punti passava ai suoi nuovi massimi di periodo sfiorando la soglia dei 200 punti (massimi a 198,71 punti). Sul versante contrapposto, i CDS a 5 anni del Credit Suisse vedevano prima stabilizzata la loro corsa tra i 341 e i 368 punti (primi dieci giorni di marzo) per, dopo, culminare oltre area 1.000 punti (venerdì 17 marzo). Plasticamente, in questa intera vicenda da noi affrontata “numericamente”, il MOVE ha – di fatto – anticipato la sventurata dinamica rialzista dei credit default swap elvetici.
Pertanto, giungendo all’attualità odierna, possiamo concludere con qualche elemento in più rispetto al già “imparato” passato. Come indicato, la recente cronaca finanziaria ha commentato il valore dei CDS di Deutsche Bank che hanno riscontrato un particolare interesse e un conseguente importante rialzo. Parallelamente, noi, vediamo un MOVE che successivamente a un veloce ridimensionamento a 142 punti (22 marzo) vede riprendere vigore attestandosi nella giornata di venerdì a 173,66 punti ovvero su livelli che non sembrano molto distanti dagli ultimi (e recentissimi) massimi.
Preso atto di tutto ciò e, senza nulla togliere a Deutsche Bank come ad altri soggetti quotati (ovviamente nessuno ce ne voglia), provare un certo disagio diventa comprensibile. Almeno in questa nostra e umile sede comune.
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