Le ore trascorse tra il 18 e il 19 gennaio sono molto importanti per tutti i risparmiatori. Dopo oltre due anni (era maggio 2019) il titolo di Stato decennale tedesco (Bund) ha visto crescere i suoi rendimenti tornando alla parità (zero) rispetto ai suoi precedenti valori negativi. Quanto riportato sembra un paradosso, o meglio l’eventuale enfasi che implicitamente lo può rappresentare potrebbe farlo apparire tale. ma, senza dubbio, tale riscontro monetario è un fatto, una notizia, che da molto tempo non si leggeva. Investire a dieci anni senza guadagnarci? “Non ha senso, figuriamoci se addirittura ci dovessi rimettere”. Questa è una delle tante obiezioni (corrette) che qualsiasi risparmiatore avrebbe potuto sollevare, ma, è innegabile, come la realtà dei numeri sia stata questa: da oltre due anni.
Sempre rimanendo in tema di “recupero”, ma lasciando il Vecchio continente, si può riscontrare la medesima similitudine anche sul titolo decennale Usa che, aggiornando i propri massimi di rendimento finora raggiunti (area 1,90%), ha ritrovato i valori di inizio 2020.
L’insieme dei due andamenti (positivi) ha comunque un risvolto (negativo): come noto, in ambito obbligazionario a un incremento di rendimento corrisponde l’inverso segno sui prezzi dei titoli ovvero una perdita in conto capitale. E questo è infatti successo sul mercato dei bond governativi che, nella giornata di martedì, ha visto un vero sell off per mano degli operatori. Il motivo? Il tanto atteso timore per un rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Al momento, in attesa del prossimo meeting del Fomc che si terrà la prossima settimana (25-26 gennaio), i mercati finanziari vedono all’orizzonte una stretta monetaria potenzialmente più accentuata rispetto a quella prevista: un primo incremento di 50 punti base già a marzo non può essere escluso, ma non sarà il solo: infatti, la “scommessa” è vedere altri ritocchi al rialzo pari a un totale di quattro o cinque (alcuni pensano di più) nel corso dell’intero anno.
È inevitabile come questa tensione abbia gravato pesantemente sul saldo complessivo dell’intero comparto bond: infatti, prendendo come riferimento il consueto benchmark JPM GBI Gl. Usd, si può chiaramente osservare come, dopo lo scorso annus horribilis che ha visto una performance negativa di oltre sei punti percentuali (-6,496%), anche l’inizio del 2022 vede un progressivo ancora e sempre in rosso: -1,467% la performance YTD (year to date).
Purtroppo, l’erosione di capitale finora conseguita non può stupire nessuno. Come noto, la manovra sui tassi di interesse, è dovuta agli alti livelli di inflazione raggiunti, ma, come ancora è più noto, un aumento dell’inflazione equivale a un vero e proprio danno (perché tale è) per gli investimenti in obbligazioni. Preso atto di queste “due note”, la perdita sul capitale è la più semplice conseguenza di tali “regole del gioco”.
Nonostante la consapevolezza di tutto questo, un dato che deve far riflettere è quello riconducibile alla dinamica della stessa perdita conseguita: dal 31 dicembre 2020, l’indice JPM GBI Gl. Usd ha ridotto le proprie quotazioni portandosi a un valore di poco inferiore agli otto punti percentuali (-7,86% il 18 gennaio). Analizzando la serie storica (rappresentata su scala settimanale) si può riscontrare come – dal 1999 a oggi – l’attuale perdita possa ritenersi come un fatto inconsueto (se non addirittura unico) sulla base dell’entità finora raggiunta e dell’ampiezza temporale (13 mesi) del movimento.
Sulla base di tale approfondimento tecnico appare evidente quale possa essere il più pertinente quesito in capo a ogni risparmiatore che detiene investimenti obbligazionari: cosa devo fare? Come risposta utilizziamo una semplice e intuitiva rappresentazione grafica inserita nel documento annuale 2021 (Guide to the Markets®) predisposto da J.P.Morgan Asset Management.
Come si evidenzia, in ottica di rialzo di interessi (1%) l’andamento dei corsi obbligazionari subiranno una flessione di entità diversa rispetto alla singola scadenza: osservando i soli titoli di Stato Usa a 2, 5, 10 e 30 anni la flessione stimata (rif. price return) è compresa tra un -2,0% (2Y UST) e un -19,8% (30Y UST).
Se l’intero palinsesto finora illustrato trovasse conferma nei mercati, ancora una volta l’ennesimo dato (numero) è stato da noi fornito. Ora, lasciamo a voi ogni conseguente (e probabilmente drammatica) conclusione.
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