Le attese sul primo taglio dei tassi della Fed continuano a essere disattese; ieri dopo la comunicazione dei dati sul mercato del lavoro americano di marzo le scommesse sul primo taglio dei tassi sono state posticipate di un mese: non più giugno ma luglio. Per il 2024 ci si attende ormai meno di tre tagli contro i sei attesi a fine dicembre 2023.
I dati sul mercato del lavoro americano hanno sorpreso al rialzo anche la più ottimistica delle stime; nel mese di marzo il mercato del lavoro a stelle e strisce ha creato 300 mila posti di lavoro contro attese di poco più di 200 mila. Il tasso di disoccupazione è sceso ulteriormente al 3,8% dal 3,9% di febbraio e la paga oraria media a marzo è salita del 4,1% rispetto allo stesso mese del 2023.
Con questi dati e con l’economia americana in queste condizioni i presupposti per un taglio dei tassi non sussistono. Il Presidente della Fed di Dallas ieri spiegava che è decisamente troppo presto per pensare a tagli dei tassi e qualche giorno prima era toccato al Presidente della Fed di Atlanta collocare il primo taglio per l’ultimo trimestre di quest’anno.
Il posticipo dei tagli dei tassi non impedisce alla borsa di salire e anche ieri, nonostante una giornata partita in salita, i principali indici americani hanno chiuso in positivo. Le borse europee ieri mattina sembrano avviate a una giornata di passione e invece hanno chiuso una giornata negativa ma con cali “normali”. Il rialzo del petrolio che sconta le tensioni in Medio Oriente non è bastato per far scendere i mercati americani.
Le condizioni finanziarie rimangono favorevoli. I mercati salgono da mesi, l’economia tira e la Fed, nonostante un’inflazione sopra il 3%, non alza i tassi. Le quotazioni dell’oro dovrebbero soffrire tassi alti o attese di rialzi, ma questo non avviene. È la prova di quali siano le condizioni finanziarie per gli investitori. A dicembre si scommetteva su sei tagli dei tassi nel 2024 assumendo un rallentamento che non c’è stato; sicuramente non nelle dimensioni che si prospettava. L’economia non si è indebolita, i mercati sono solo saliti e le condizioni finanziarie, in compenso, sono rimaste favorevoli esattamente come quelle degli ultimi mesi. Supponiamo che arrivi ora, con sei mesi di ritardo, il rallentamento economico, le attese dei tagli verrebbero anticipate e i mercati potrebbero rimanere, magari malconci, in salute.
I mercati non sono l’economia. Negli ultimi tre anni, da quando i lockdown si sono chiusi, le borse hanno fatto molto meglio dell’economia reale. A febbraio 2020, appena prima dello scoppio del Covid, l’indice italiano segnava 25.000 punti e oggi 34.000. Il principale indice americano nello stesso arco temporale è passato da 3.400 a 5.200. Sono variazioni che non hanno o quasi paragoni con gli incrementi salariali.
I mercati hanno trascinato l’economia e sono diventati la scelta obbligata perché l’inflazione ha reso sia i depositi bancari che le obbligazioni scelte perdenti mentre le azioni volavano. I mercati non sono l’economia, ma possono farle molto male, in caso di inversione, soprattutto in una situazione in cui tutti sono stati “obbligati” a entrarci. Prezzi del petrolio e geopolitica, inflazione più alta delle attese rimangono due osservati speciali. La Fed non sembra invece intenzionata a rompere la magia.
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