Dopo il tonfo di venerdì, i mercati ieri hanno ampliato le perdite ed è continuato l’andamento, incluso quello delle obbligazioni europee e dello “spread”, delle ultime settimane. In serata le ipotesi su un possibile rialzo a sorpresa di 75 punti base della Fed questa settimana venivano contemplate dai principali organi di informazione finanziaria globale a partire, per esempio, dal Wall Street Journal. Il tema è, ancora, l’inflazione e la novità o l’evidenza che si sta consolidando è che le banche centrali non hanno per ora mostrato alcun timore né nei confronti della volatilità dei listini, né del rallentamento economico che si avvicina e prende dimensioni preoccupanti; ieri l’ad di Morgan Stanley pronosticava una probabilità del 50% di una recessione. Una previsione sinistra perché la fase di rialzo dei tassi è ancora giovane e perché le sanzioni avranno effetto pieno solo dopo l’estate. 



In Europa la Bce non è ancora preoccupata degli spread nonostante gli allarmi stiano già suonando: il rendimento del decennale italiano ha toccato i massimi dal 2014 e il grafico è una retta verticale. Ieri il membro del consiglio della Bce Simkus ha dichiarato “di non essere preoccupato dei rendimenti italiani”. Non sembra in buona compagnia perché l’andamento degli ultimi giorni può continuare solo qualche giorno prima che la situazione degeneri.



Le banche centrali, quindi, sembrano intenzionate a fermare l’inflazione costi quello che costi anche al prezzo di una recessione, di schiantare i mercati e in Europa di mettere in crisi l’impalcatura che ha retto dalla crisi dei debiti sovrani. Questa fase di tensione non ha gli stessi effetti per tutti e alla fine non avrà gli stessi esiti. Non è una questione, solo o innanzitutto, di deficit o debito pubblico. La liquidità si ritira e quella che rimane si aggrappa a tutto quello che viene percepito come sicuro o meno rischioso. Il contesto internazionale è profondamente diverso rispetto a quello della crisi finanziaria globale del 2008. I flussi delle merci non sono più fluidi. Il rafforzamento del dollaro peggiora il problema dell’inflazione di chi ha valute che si indeboliscono; alcuni Paesi emergenti ma non solo: anche Giappone ed Europa.



La liquidità si ritira e gli investitori internazionali scappano dai mercati percepiti come più rischiosi; i Governi devono fare i conti con valute che si indeboliscono e un peggioramento dell’inflazione. In questo scenario vince chi riesce a garantire la propria capacità produttiva, le proprie risorse energetiche e riesce a tenere aperti gli scambi commerciali fondamentali. L’inflazione è un problema insormontabile per i Paesi che non sono autonomi o che sono poco autonomi. Moltissime valute stanno perdendo valore a ritmi record e in un contesto di frammentazione finanziaria quello che conta è cosa si può produrre o estrarre e poi scambiare. 

Un Paese con una valuta debole in un contesto di frammentazione finanziaria e liquidità che si prosciuga può resistere se riesce ad avere abbastanza energia, imprese, acqua e cibo e in questo modo aggirare il contesto esterno o “gestirlo”. Chi riesce a preservare il sistema produttivo, l’energia e risparmi che servono a mantenerlo e ad avere forniture di cibo può giocare un ruolo e uscire, sicuramente malconcio, ma “vivo” da questa fase per gli altri la situazione è molto complicata. Il corollario è che le grandezze con cui si misuravano la forza economica di un sistema, di un’area o di uno Stato non sono più attuali perché il contesto è cambiato completamente. Interi sistemi produttivi sono “inutili” se manca l’energia per farli funzionare o se gli operai non riescono a mangiare. 

Gli schemi con cui abbiano valutato i Paesi come poveri o ricchi, in via di sviluppo o sviluppati sono obsoleti e sorpassati e sospettiamo che la liquidità dei mercati si adeguerà rapidamente alla nuova realtà in un clima internazionale di crescente “egoismo” degli Stati. Per esempio, la valuta brasiliana, un Paese in via di sviluppo, negli ultimi 5 mesi si è rivaluta del 20% verso l’euro e verso lo yen e del 15% verso il dollaro. La sfida, per evitare il collasso, quindi è quella mantenere in vita i sistemi produttivi, garantirsi o produrre energia e cibo in un orizzonte temporale di breve periodo. Tutte le soluzioni che eccedono questo orizzonte temporale, soprattutto se costose, sono inutili se non dannose.

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