TANSTAAFL. TANSTAAFL a causa della guerra. TANSTAAFL a seguito dell’inflazione. TANSTAAFL in capo a tutti noi. TANSTAAFL non è nulla di particolare, ma semplicemente quanto sta accadendo con il trascorrere delle ultime settimane divenute ormai mesi. TANSTAAFL, se ricercato nel web, identifica l’acronimo “There ain’t no such thing as a free lunch” che tradotto in “Nessuno ti dà da mangiare in cambio di niente” inizia ad avere una sua spiegazione. Se, invece, l’espressione fosse contestualizzata al solo mondo economico, il tutto riporta alla mente il celebre economista e Premio Nobel per l’economia (1976) Milton Friedman. Quest’ultimo diede forma a un’opera letteraria che, rappresentando il proprio pensiero in campo monetario, coniò il più ricorrente dei motti che si possono incontrare finanziariamente: “Nessun pasto è gratis”. 



Arrivando ai giorni nostri, con una guerra Russia/Ucraina sempre più presente nella cronaca quotidiana, con i suoi continui aggiornamenti sulle conseguenze economiche di tale conflitto, e il perdurare della rinnovata incertezza che vede spostare in avanti nel tempo i recuperi in dote ai conti di ciascun Paese, di cosiddetti “pasti gratis” non ci sono tracce, anzi, a onor del vero si riscontra l’esatto opposto: prezzi molto alti (talvolta altissimi) sintetizzati da un valore percentuale che trova la sua etichetta con il termine inflazione. Il recente dato sull’inflazione all’8,5% negli Usa (massimi dal 1981) è uno dei principali indicatori di questo malessere quotidiano comune. 



Guardando, invece, alle tasche dei risparmiatori-investitori, tutti coloro che hanno impiegato i loro capitali in un contesto “prudente” perché caratterizzato da una spiccata avversione al rischio, a conti fatti, nel corso degli ultimi due anni, stanno subendo un “momento no” storico del mercato obbligazionario. Un vero e proprio stop sulla loro stabilità patrimoniale, soprattutto perché penalizzata da significative perdite in conto capitale realizzate non solo su base mensile, trimestrale e pertanto annuale, ma, bensì, talvolta, anche nell’arco di una sola settimana (e in particolari casi in una sola giornata). 



Osservando all’universo investibile dell’asset class obbligazionaria, l’aumento generalizzato dei rendimenti sembra poter rappresentare una buona notizia, ma, come ovvio, a questo incremento corrisponde una flessione sulle quotazioni degli stessi strumenti finanziari. Inevitabile, quindi, assistere (inermi) a un deciso ridimensionamento degli investimenti in tale classe di attività. Ma di quanto stiamo parlando? 

Prendendo come riferimento la serie storica degli ultimi trent’anni (1992-2022) del Bloomberg Barclays Global-Aggregate Total Return Index Value Unhedged USD (componente investment grade debt) si può constatare una variazione percentuale negativa in corso di anno mai registrata prima: -10,133% la performance YTD (Year To Date). Attualmente, incorporando quest’ultima a quella dell’anno scorso, la medesima somma individua un unicum nel suo genere: per la prima volta stiamo assistendo a una variazione complessiva (ben oltre la doppia cifra) mai generata finora. 

Una “novità” (pessima) che si distingue non solo per l’entità in termini assoluti (quasi quindici punti percentuali in negativo), ma, anche, per la durata e continuità del suo incedere con il trascorrere delle settimane (v. anche JPM GBI Gl. Usd).

 

Sinceramente, la complessiva situazione non lascia immuni da preoccupazioni e, anche in ottica futura, di “pasti gratis” non se ne vede alcuna forma, anzi, tale scenario potrebbe irrimediabilmente solo che peggiorare. Alle attuali quotazioni agire sui propri investimenti è decisamente troppo tardi soprattutto per una asset class – quella obbligazionaria – che si caratterizza per una limitata e implicita volatilità negli stessi strumenti di investimento utilizzati. 

Tra gli addetti ai lavori, questa pesante e inconsueta debacle viene assecondata con timidi messaggi consolatori riconducibili all'”attenersi all’iniziale piano di investimento”, “agli obiettivi personali” per poi giungere al classico, consueto e tradizionale (magari giunto al proprio epilogo) concetto di “lungo periodo”. 

Onestamente (purtroppo) la flessione degli investimenti obbligazionari non poteva (e doveva) cogliere impreparati nessuno: primi fra tutti gli addetti ai lavoro e, successivamente, gli stessi risparmiatori se correttamente educati e informati finanziariamente dai loro referenti. 

Da queste nostre pagine le avvisaglie sono arrivate già a inizio 2021 per poi proseguire con il trascorrere delle successive settimane e poi giungere alla più recente quantificazione del possibile “conto da pagare” ovvero in netta contrapposizione a un cosiddetto “pasto gratis”.

Dalle risultanze finora emerse, è opportuno ribadirlo ancora una volta, il futuro degli investimenti obbligazionari appare segnato: le banche centrali (Fed e Bce) sceglieranno obbligatoriamente la via dell’aumento dei tassi di interesse e, inevitabilmente, ci saranno le dirette conseguenze sull’andamento delle quotazioni della compagine bond. Appare interessante il ricorso alla storia al fine di poter identificare una verosimile correlazione tra l’andamento dell’inflazione e la performance obbligazionaria. Ritenendo insensato il ricorso a serie storiche “epocali” poiché decontestualizzate rispetto all’attuale realtà dei giorni nostri, ma, invece, limitando l’analisi ai già citati trent’anni (1992-2022), è facilmente riscontrabile una mancanza di possibili ricorsi storici. Pertanto, soffermando l’attenzione al comparato andamento tra il Bloomberg Barclays Global-Aggregate Total Return Index Value Unhedged USD, il rendimento del titolo di Stato decennale Usa e l’indice statunitense CPI-U (Consumer Price Index for All Urban Consumers), l’auspicata ricerca (valida quantitativamente) di un senso a questa intera situazione fornisce un solo responso: territorio inesplorato. 

Purtroppo, i numeri analizzati, così come le loro potenziali correlazioni, non trovano alcuna valida risposta alla domanda: quanto si potrà ancora perdere? Rifacendosi alla mera quantificazione finanziaria relativa al calcolo dei rendimenti obbligazionari (v. duration modificata, ecc.), ulteriori aumenti dei tassi di interesse comporteranno ancora ribassi sulle quotazioni e, salvo interventi inconsueti (es. introduzione di stimoli da parte delle banche centrali), il destino dei patrimoni è drammaticamente segnato. 

La “drammaticità” in tutto questo non è sinonimo di voler essere pessimisti, ma, al contrario, di volere essere cinicamente realisti. Lo stesso cinismo (se così fosse) dello scorso gennaio: «Ora, lasciamo a voi ogni conseguente (e probabilmente drammatica) conclusione». Lo stesso cinismo che, la realtà e verità dei fatti, sottintende alla vita di tutti i giorni ovvero: “Nessun pasto è gratis”. 

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