Il rischio pandemia ha fatto scrivere molto di sé e il peggio è ormai passato. Il ritorno alla cosiddetta normalità appare ogni giorno più concreto e, rispetto al precedente vuoto che si “incontrava” lungo le strade delle città, si sta invece riscoprendo e apprezzando il tanto atteso e sempre odiato caos cittadino. Le persone stanno ritornando a vivere e, vaccino dopo vaccino, i numeri confermano la ritrovata vita. Nella memoria di ciascuno i nuovi termini forzatamente appresi (pandemia, lockdown, indice rt al pari di molti altri) appartengono a un passato ancora presente; per altre persone, invece, l’insieme della storica tragedia è pressoché dimenticata. Difficile dare un giudizio sull’atteggiamento dell’uno o dell’altro, ma, è comunque plausibile individuare una valida alternativa ai due estremi: consapevolezza.
Essere consapevoli dopo un evento traumatico è assai difficile e convivere con gli attimi vissuti rappresenta un vero e proprio atto di forza con sé stessi. Anche finanziariamente parlando la consapevolezza di ciò che si sta facendo può venire meno soprattutto in certe fasi della propria esistenza: spesso per scarsa conoscenza personale, ma, sovente, per pigrizia nel voler approfondire (anche con gli addetti ai lavori) quello che si sta sottoscrivendo. A queste condizioni l’incauto investitore si troverà a confortare se stesso (e le proprie scelte ormai fatte) nel corso del tempo valorizzando di volta in volta la fiducia riposta nel proprio investimento; in base ai risultati ottenuti l’alibi ci sarà sempre: in caso di perdita la motivazione sarà additabile al “consiglio sbagliato” (se ricevuto da un esperto) oppure si attingerà all’alternativa evergreen rappresentata dal “mercato”. All’opposto, invece, qualora le performance ottenute risultassero positive, l’attribuzione del merito sarà scontato: esclusivo merito dell’investitore.
La mancanza di consapevolezza in ambito finanziario è senza dubbio il primo errore per chi investe, e oggi, dopo il recente e ancora vivo trascorso pandemico, la mancanza di consapevolezza per quanto sta accadendo sui mercati finanziari appare concreto.
Nel corso di queste ultime settimane abbiamo riscoperto il nuovo rischio derivante da un possibile aumento dell’inflazione: dagli Usa alla Cina, passando attraverso l’Europa, il tema è all’ordine del giorno in ogni appuntamento di politica monetaria. Anche nelle stesse sale operative e negli accoglienti salotti dedicati ai molti incontri tra esperti della materia il “dilemma inflazione” è costante. Il mercato pretende decisioni poiché in assenza di esse l’incertezza implica un inevitabile incremento di rischio. Attualmente, il potenziale strascico riconducibile alla temuta inflazione, può essere individuato nella plausibile fragilità del mercato obbligazionario.
Negli ultimi venticinque anni la crescita dei prezzi (rif. JPM JBI Gl. Usd) è stata pressoché costante e caratterizzata da un significativo contenimento della volatilità.
Come ovvio, a tale rialzo, ha corrisposto un drastico ridimensionamento dei rendimenti per gli stessi strumenti obbligazionari.
La principale motivazione a queste dinamiche è verosimilmente attribuibile all’ingente liquidità immessa nel sistema finanziario mediante il tanto acclamato Quantitative easing: nessuna obiezione all’utilizzo di questo mezzo, anzi, è bene ricordare come grazie a esso l’Europa abbia potuto affrontare (e superare) le varie crisi economiche. Allo stesso tempo, però, risulta oggettivo il trend negativo innescato di anno in anno sulla curva dei rendimenti.
Giunti agli attuali valori (in Usa il decennale evidenzia un rendimento poco sopra l’1,5%), un potenziale incremento dell’inflazione comporterà una diretta ripercussione sui medesimi tassi di rendimento (incrementandoli) a discapito dell’andamento delle quotazioni. Tale influenza, pur considerandola nell’arco di pochi mesi, vedrà la propria onda d’urto ripercuotersi nei singoli portafogli investiti in titoli obbligazionari.
L’investitore è consapevole di questo rischio? È presente la dovuta consapevolezza per come affrontare questa possibilità? I dubbi per un’opportuna risposta sono molti. Guardando al mercato e ai suoi numerosi commentatori appare inutile e fuori luogo l’aver individuato l’impiego azionario quale veicolo alternativo alla scarsità di rendimento obbligazionario: abbandonare un frazionale guadagno al fine di preferire un maggior ritorno caratterizzato da un esponenziale rischio può solo trovare efficacia (non efficienza) nel più classico e inflazionato concetto di lungo periodo (quanto lungo?). Il rischio obbligazionario permane e l’andamento (negativo) da inizio anno ha scosso gli animi già fragili di molti risparmiatori: l’ingente liquidità sui conto correnti è una chiara risultanza. Neppure questo suscita maggiore consapevolezza in ciascun investitore? Siate consapevoli fin da ora e agite: è solo nel vostro interesse.
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