È arrivata la svolta? I mercati, cinici per definizione, sembrano apprestarsi a un Natale ricco per le Borse ma anche per il popolo degli obbligazionisti, incuranti delle sofferenze di Gaza o, peggio, delle carneficine in Ucraina, ormai scomparse dalle prime pagine dei giornali. Forse andrà così. O forse no. Per quel che ci riguarda, forse avrà ragione la Faz che sottolinea il ritorno del “rischio Italia” in vista del rinnovo del Patto di stabilità? Oppure conta di più la risposta dei mercati che, dopo le decisioni delle Banche centrali (Usa ma anche Bank of England) di non alzare i tassi, hanno premiato i Btp e tagliato lo spread per la soddisfazione dei sottoscrittori dei vari Btp Italia o, ancor di più, per chi ha scommesso su Piazza Affari? Insomma, c’è da fidarsi oppure no?
Domanda difficile a cui, da sempre, i padroni del denaro evitano di rispondere. “Mi avete capito? Allora ho sbagliato qualcosa”. Così il Presidente della Fed Alan Greenspan amava sottolineare l’ambiguità del ruolo del banchiere centrale. Il suo compito è da una parte quello di indicare la rotta al mercato, dall’altra di non tacere le difficoltà e le incertezze della navigazione nei mari del denaro: il pericolo più grave è l’eccesso di fiducia che spinge a trascurare i rischi. Di qui l’arte difficile del dire e non dire, lasciando agli operatori la libertà di scegliere. E di sbagliare.
È quanto ha fatto Jerome Powell girando al mercato nell’ultima conferenza stampa una domanda all’apparenza ingenua. A questo punto, ha detto, è il caso di chiederci se ha senso aumentare ancora i tassi. Gli operatori più cauti hanno notato che il Presidente della Fed continua a parlare di eventuali aumenti dei tassi, ma non fa nemmeno cenno all’ipotesi di un taglio del costo del denaro. Ovvero, la Fed non prende impegni ma si tiene le mani libere nel caso che l’aumento del costo del lavoro (specie dopo la vittoria delle tute blu a Detroit contro i Big dell’auto) o una discesa repentina dei rendimenti dei titoli di Stato non spinga di nuovo al rialzo Wall Street o le richieste dei consumatori. In più, alcuni economisti fanno notare che sul fronte dell’inflazione la battaglia è tutt’altro che vinta: l’aumento dei prezzi ci ha concesso una tregua, nulla di più. Non è esclusa, specie a fronte delle guerre in corso (ormai si deve parlare al plurale), che torni, più pericolosa che mai, la fiammata dei prezzi.
Ma, a giudicare dalla prima risposta dei mercati, dopo tante false partenze, la maggior parte degli operatori è convinta che il grande recupero di Borse e bond abbia i numeri per proseguire almeno fino a Natale se non oltre. Per più ragioni. La prima si rifa al cinismo dei mercati. La crisi di Gaza è tanto drammatica quanto, almeno per ora, circoscritta a un’area ben definita. Nessuno può azzardare una previsione per il futuro. Ma in questi anni di “cigni neri” a ripetizione, tra guerre e pandemie, i mercati hanno imparato a convivere con l’emergenza, senza fasciarsi la testa anzitempo.
Le banche centrali, Fed in testa, hanno comunque cambiato tono. Powell ha insistito sulla lunga pausa che la Fed, giunta a questo punto, può prendersi. Anche grazie al fatto che il Tesoro Usa ha annunciato un minor numero di nuove emissioni rispetto alle previsioni.
In Europa il calo dell’inflazione combinato con la frenata dell’economia, specie in Germania, favorisce senz’altro la prospettiva di una svolta sul fronte dei tassi a metà del 2024, se non prima.
Non è temerario sperare in un costo del denaro in discesa dalla primavera in poi. Così come in una buona stagione degli utili societari a partire da Piazza Affari, a sorpresa tra le Borse migliori. Grazie, in particolare, agli ottimi risultati delle banche. Ma non è tempo di brindare, semmai di sfruttare la ripresa per metter fieno in cascina prima del 2024, che promette (basti pensare alla campagna elettorale Usa) di essere ancor più tempestoso dell’anno in corso. I mali del mondo, purtroppo, non finiscono con le ferite di Gaza.
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