I mercati azionari americani ieri hanno toccato nuovi massimi con i principali indici saliti decisamente dopo l’ultimo dato sul mercato del lavoro negli Stati Uniti. Nell’ultimo mese, a marzo, gli occupati sono saliti di quasi un milione di unità rispetto alle aspettative di poco più di 600 mila. In cima alla classifica dei settori che hanno aggiunto più occupati c’è quello dell'”ospitalità” seguito dal governo, dalle costruzioni e dall’education. Lo spaccato rende immediatamente chiare le ragioni della crescita che non hanno nulla a che vedere con programmi infrastrutturali; il dato è sostanzialmente il prodotto della graduale ma sostanziale riapertura del Paese che coinvolge ristoranti, cinema, teatri, palazzetti dello sport e così via e con una percentuale crescente della popolazione che, a torto o a ragione, si sente sicura di viaggiare o di mangiare in un ristorante.
Il mercato e gli investitori vedono sia una riapertura dell’economia, riflessa in modo evidente nei dati sul mercato del lavoro, sia un supporto ad ampio spettro della Federal Reserve. Le cicatrici che si sono prodotte nell’economia nel 2020 fanno sì che, una volta cominciata la ripresa, si possano vedere numeri in miglioramento per molti mesi e forse trimestri; si è scesi talmente tanto che oggi si possono legittimamente nutrire aspettative di una ripresa di molti trimestri. In uno scenario di ripresa, in cui la pandemia non costituisce più una minaccia, il mercato può inoltre incorporare i tagli di costo che le imprese hanno messo in atto negli ultimi trimestri e che in molti casi rimarranno anche nei prossimi trimestri. La riduzione degli spazi per gli uffici, i tagli su viaggi e spese commerciali, la riorganizzazione delle attività in senso economico rimarranno anche se l’economia dovesse riaprire.
Aggiungiamo che la Federal Reserve ha lasciato chiaramente intendere di non volere in alcun modo rischiare di compromettere la ripresa, che avviene in un contesto finanziario ancora fragilissimo, cambiando la politica monetaria in senso restrittivo troppo presto. La banca centrale piuttosto correrà volentieri il rischio di surriscaldare la congiuntura lasciando andare l’inflazione.
Chiedersi se e quando gli investitori cambieranno idea è la domanda inevitabile. Potrebbero cambiare idea se le banche centrali dovessero segnalare cambiamenti, ma è improbabile; potrebbero cambiare idea se ci fosse un’evidente incoerenza tra le stime di crescita e la realtà in una fase però del ciclo talmente preliminare in cui si può ancora lavorare di fantasia senza che la realtà rischi di presentare il conto troppo presto; potrebbero infine cambiare idea se l’inflazione accelerasse molto prima del previsto, ma in questo momento non siamo ancora in questo scenario. Ci sono ovviamente rischi finanziari, come quelli che si sono prodotti all’inizio di questa settimana con la vicenda del fondo hedge Archegos e geopolitici. In questo caso l’atteggiamento sembra quello di chi non vuole fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
Questo ovviamente si applica agli Stati Uniti ma non all’Europa. Le riaperture in Europa, Regno Unito a parte, sono un miraggio e, anzi, la situazione dal punto di vista del lockdown è peggiore di qualche settimana fa. Le motivazioni sono note e riguardano i ritardi enormi nella campagna vaccinale. Le discussioni con la Russia di Francia e Germania per la fornitura del vaccino Sputnik danno la misura della disperazione europea per le conseguenze economiche del lockdown. Non è una questione di qualità del vaccino quanto della sua componente “geopolitica” in una fase di tensioni pronunciate con la Russia.
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