Nonostante le nuove minacce di Donald Trump, pronto ad alzare le tariffe imposte sulle merci made in China se il collega Xi Jinping non parteciperà al summit del G-20 che si terrà a fine mese a Osaka, le Borse asiatiche in questa prima metà di giugno si mostrano in buona forma. Perché succede questo, a fronte del fatto che – come spiegano gli economisti di Société Générale – “le probabilità che il conflitto commerciale tra Cina e Usa giunga a una conclusione amichevole sono diminuite significativamente nelle ultime settimane” e che il costo di queste tensioni, qualora dovessero continuare, viene quantificato dal Fondo monetario internazionale in un taglio del Pil mondiale nel 2020 pari allo 0,5? “Complici anche aspettative per un taglio dei tassi d’interesse Usa da parte del Fomc già nei prossimi meeting – spiega Alessandro Magagnoli, analista tecnico e co-fondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – l’andamento degli indici azionari, in particolare di quelli asiatici e americani, resta comunque positivo”.
Quali fattori stanno spingendo le piazze finanziarie asiatiche?
A sostenere la Borsa cinese sono stati, nelle ultime sedute, soprattutto i titoli legati al comparto infrastrutturale, dopo che Pechino ha incoraggiato le amministrazioni locali a utilizzare il mercato obbligazionario per finanziare progetti che favoriscono la crescita economica. Anche il Nikkei non si tira indietro e punta con decisione al rialzo: il governatore Haruhiko Kuroda ha ribadito che la Bank of Japan è pronta ad ampliare il suo piano di stimolo in caso di necessità.
Come si presenta il quadro macro dell’economia giapponese?
Moderatamente positivo, caratterizzato comunque da luci e ombre. Il Pil del Giappone, infatti, è salito del 2,2% annuo nel primo trimestre 2019, in accelerazione rispetto al precedente progresso dell’1,6% e sopra al 2,1% della lettura preliminare. Su base sequenziale, l’economia nipponica ha segnato invece un’espansione dello 0,6% contro la crescita dello 0,4% del quarto trimestre 2018 e lo 0,5% preliminare.
Torniamo alla Cina, che detiene enormi quantità di Treasury americani. Potrebbero essere usati come arma di ricatto nei negoziati sui dazi con gli Usa?
La Cina ha dichiarato che per adesso non utilizzerà le proprie riserve di Treasury come arma in questa disputa, ma tutto potrebbe cambiare se le relazioni tra i due Paesi si deteriorassero ulteriormente. Ed è importante osservare che Pechino ha ancora spazio di manovra per introdurre, se necessario, ulteriori misure di stimolo alla propria economia.
Quindi questo, secondo lei, è un buon momento per investire sui mercati cinese e giapponese?
E’ evidente che in questo momento l’andamento dei principali indici azionari cinesi, e anche quello del Nikkei, assume un’importanza che travalica quella dell’investimento nello specifico asset o in strumenti, come gli Etf, ad esso collegati. La capacità della Borsa cinese di contrastare le recenti spinte ribassiste sarebbe un segnale di fiducia da parte del mercato, a conferma che una possibile ricomposizione delle tensioni Usa-Cina potrebbe avvantaggiare tutte le Borse.
Che cosa dice la lettura dei grafici?
Perché i tentativi di rimbalzo messi a segno dall’indice di Borsa di Shanghai, l’Sse Composite Index, vengano coronati da successo, sarà necessario il superamento almeno di area 2.960. In quel caso i prezzi potrebbero tentare la ricopertura del gap ribassista del 6 maggio, con lato alto a 3.053 circa. La rottura anche di questa soglia permetterebbe un tentativo di andare a prendere i massimi di aprile a 3.288 punti, allontanando il rischio che il rimbalzo visto nelle ultime sedute sia solo un fenomeno temporaneo. Rischio che tornerebbe, invece, immediatamente d’attualità in caso di violazione dei 2.804 punti, base del gap del 25 febbraio.
E per l’indice Shenzen?
Nel caso dell’indice delle B Share di Shenzen (Shenzhen Stock Exchange B Share Index) sarebbe la rottura dei 960 punti, dove passa la media esponenziale a 50 giorni, a inviare un primo segnale della volontà di interrompere il trend ribassista in atto dai massimi di aprile, a 1.084 punti. Oltre quota 1.000, lato alto del gap del 6 maggio, il ritorno sul top di aprile diverrebbe un’ipotesi credibile. Sotto area 900, invece, diverrebbe elevato il rischio di ritorno sui minimi di dicembre a 827 punti.
In questi giorni Hong Kong è interessata da manifestazioni di piazza contro la legge sull’estradizione. La Borsa ne sta risentendo?
L’Hang Seng di Hong Kong è stato uno dei maggiori beneficiare del recente rimbalzo, ma anche in questo caso per il momento la reazione non è stata risolutiva, proprio anche a causa delle continue proteste sulla controversa legge che permetterebbe l’estradizione in Cina per i reati commessi nell’ex colonia britannica. La media esponenziale a 50 giorni passa a 28.190 circa, la sua rottura sarebbe un primo segnale positivo che necessiterebbe però della conferma con il superamento di area 29.000 per aprire la strada al ritorno sui massimi di aprile di area 30.280, collocati su una resistenza chiave di medio termine, il 61,8% di ritracciamento del ribasso dal top di gennaio 2018, cioè la percentuale di Fibonacci che separa uno scenario correttivo da uno di inversione vera e propria.
In caso contrario?
Senza il superamento anche di quei livelli l’eventuale proseguimento dell’attuale rimbalzo resterebbe comunque suscettibile di nuovi capovolgimenti di fronte. E una situazione molto simile si osserva anche per l’Hang Seng China Enterprise Index (CEI).
Perché?
La reazione che si sta sviluppando dai minimi di inizio mese è troppo acerba perché si possa ipotizzare il suo proseguimento verso i massimi di aprile. Solo oltre area 10.900 inizierebbero a crearsi le condizioni per un’estensione del rialzo almeno fino a 11.429, lato alto del gap ribassista del 6 maggio.
Come può evolvere l’indice?
Sopra quei livelli possibile il test del picco di aprile, a 11.882 punti, coincidente con il 50% di ritracciamento del ribasso dai massimi di gennaio 2018. Sotto i 10.200 punti le speranze di crescita verrebbero sostituite dal rischio di un avvicinamento ai minimi di inizio anno a 9.762 punti.
Intanto il Nikkei nelle ultime sedute ha cercato di dare un seguito al rimbalzo intrapreso dai bottom del 3 e del 4 giugno in area 20.290…
In realtà il Nikkei ha disegnato una bella figura di tipo “tweezer bottom”, elemento dalle implicazioni positive in corrispondenza del supporto critico offerto in quell’area dal 61,8% di ritracciamento del rialzo dai minimi di dicembre. I prezzi si sono lasciati alle spalle la linea di tendenza che scende dai massimi di aprile e hanno avvicinato la media mobile esponenziale a 50 giorni, passante a 21.280, importante resistenza non solo in ottica di breve periodo.
Fin dove potrebbe arrivare il Nikkei?
Oltre tale ostacolo via libera alla copertura del gap down dell’8 maggio a quota 21.875 e, in caso di successo nel test di questa resistenza, possibile il raggiungimento dei massimi di fine aprile a 22.363 circa, a stretto contatto con il 61,8% di ritracciamento del ribasso dal top di ottobre 2018. Questa percentuale di ritorno – è giusto ribadirlo – è quella che separa uno scenario correttivo, di un movimento temporaneo, da uno di inversione vera e propria, e come visto compare ben due volte nell’analisi dell’attuale situazione grafica del Nikkei.
Che cosa significa?
L’interpretazione che si può dare del test di questo riferimento, ricavato dalla successione di Fibonacci, è che né il rialzo dai minimi di dicembre 2018 né il ribasso dal top di fine aprile sono stati risolutivi e non hanno chiarito le intenzioni del mercato.
In che senso?
Senza la rottura dei 22.363 punti il rimbalzo in atto da dicembre non potrà sperare di diventare una tendenza rialzista prolungata, capace di misurarsi ad armi pari con il ribasso subito dal top di ottobre 2018. Ma anche il ribasso visto nelle ultime settimane per adesso può assumere il ruolo di una ripresa duratura del trend ribassista di medio periodo.
Che segnali devono arrivare allora dal Nikkei?
Sarà la fuoriuscita dal range 20.250-22.400 a fornire segnali chiari della volontà del mercato: al rialzo oltre la resistenza e al ribasso al di sotto del supporto.
(Marco Biscella)