I principali listini azionari affrontano il giro di boa agostano archiviando un saldo negativo settimanale. Su gran parte dei mercati – grazie al rialzo fatto registrare nel corso dell’ultima seduta – il livello dei prezzi si è allontanato dai pericolosi supporti che erano ormai prossimi alla loro violazione. Di certo, le dichiarazioni del governatore della banca centrale finlandese Olli Rehn hanno in qualche modo allentato parte delle tante tensioni che gli operatori finanziari stanno cercando di calmierare.



Doveroso riportare quanto afferma Rehn nell’intervista rilasciata al Wall Street Journal: «Quando si ha a che fare con i mercati, è meglio andare oltre le loro aspettative e non deluderli, è meglio avere un pacchetto di misure di stimolo molto forti piuttosto che limitarsi alla messa a punto». Una vera e propria anticipazione sull’eventuale messa in campo di un nuovo Qe che – dallo stesso governatore – potrebbe già essere attuato in occasione della prossima riunione Bce del 12 settembre. I mercati azionari europei ne hanno prontamente beneficiato così come le stesse piazze internazionali che, fin dall’inizio di ottava, avevano accusato il colpo a seguito della “inaspettata” sconfitta alle primarie tenutesi in Argentina tra l’attuale presidente in carica Mauricio Macri (liberale) e il suo avversario Alberto Fernandez (peronista) in vista delle prossime elezioni di ottobre.



Il tonfo fatto registrare dalla borsa argentina (-38% in una sola giornata) ha di fatto temere il peggio richiamando alla mente il “naturale timore” dello spettro di un nuovo default. Sul mercato dei CDS a 5 anni il costo per “assicurarsi” è pressoché raddoppiato nel corso di 24 ore e l’esito delle prossime elezioni non appare così scontato: Goldman Sachs dichiara che quanto emerso in sede di primarie sia da considerarsi come “quasi irreversibile”.

Se l’Argentina rappresenta una nuova incognita sullo scenario internazionale, sul fronte dei tanti scenari irrisolti, quello del commercio internazionale appare il più controverso e sempre oggetto di inaspettati “cambi di programma”: la banca centrale cinese ha fissato lo yuan sotto la soglia dei 7 dollari (è la prima volta dal 2008) ed è stata prontamente attaccata dal Presidente americano Trump che ha definito questa mossa come una «svalutazione enorme». Parimenti, il leader Usa ha comunicato che i nuovi dazi (pari al 10% su 300 miliardi di importazioni cinesi) slitteranno al prossimo 15 dicembre (non più a settembre come dichiarato in precedenza). Un cambio di programma che comporta un ulteriore stato di incertezza sull’esito dell’intera trattativa in essere tra Usa e Cina.



A “certificare” l’attuale criticità sui mercati, è quanto emerge sul mercato obbligazionario statunitense: il rendimento del titolo a due anni ha superato quello del decennale. Non accadeva dal maggio 2007 e – storicamente – tale inversione della curva ha sempre rappresentato un segnale anticipatore di uno stato recessivo dell’economia. Nonostante questa evidenza, sia Wilbur Ross (segretario del Commercio Usa) che Janet Yellen (ex governatore della Fed) hanno cercato – attraverso alcune loro dichiarazioni – di allentarne il rischio prospettico. L’agenzia di rating S&P stima in un 30-35% (dal precedente 25-30%) le probabilità che nei prossimi 12 mesi l’economia statunitense possa entrare in recessione.

Se oltreoceano le variabili appaiono prive di immediate risoluzioni, nel Vecchio continente si evidenzia una certezza: la Germania sembra ormai perdere la propria leadership economica e, i recenti dati diffusi (indici Zew e Pil II trimestre) ne confermano lo stato di rallentamento; il tutto all’insegna di una confermata debolezza dell’intera Area euro.

Sul versante operativo, il principale indice azionario Usa (S&P 500) ha soddisfatto le nostre precedenti aspettative: ha prima violato quota 2.894,47 per successivamente arrestare la propria discesa in prossimità del supporto in corrispondenza dei minimi mensili. Il pull back fatto registrare al termine di ottava non può essere rappresentativo di un segnale di inversione: solo qualora nel corso delle prossime sedute i prezzi superassero prima area 2.920 e dopo 2.941 punti, si potrebbe interpretare il tutto come un primo set up rialzista per un eventuale posizionamento. Da monitorare l’eventuale ritorno dei corsi sotto soglia 2.850 punti: la violazione comporterebbe la realizzazione di nuovi minimi mensili.

Anche su Piazza Affari si sono visti i prezzi da noi individuati: la media mobile a 200 giorni è stata violata al ribasso ed i corsi hanno infranto pericolosamente la soglia psicologica dei 20.000 punti. Il rimbalzo avvenuto sul finire di settimana non appare convincente in ottica di potenziale posizionamento long. Area 20.597,65 può essere interpretata (in caso di suo superamento) come primo segnale per un successivo rafforzamento in chiave rialzista. Da temere un ritorno dei corsi in prossimità dei 20.000 punti: il target ribassista corrispondente trova una propria collocazione a quota 19.535.

Lo scenario tecnico sui principali listini appare immutato rispetto alle nostre precedenti view. L’unico posizionamento finora indicato (strategia hedged) appare confermato in ottica market neutral per tutti coloro che possiedo una maggiore propensione al rischio.

Nel corso della settimana si potrà assistere a un ulteriore incremento della volatilità e pertanto l’approccio prudenziale è doveroso. Nuovi elementi potranno emergere, ma l’attuale quadro complessivo non appare soggetto a variazioni.