Nella gestione degli investimenti si legge molto spesso come sia importante il fattore “diversificazione” nel proprio patrimonio e, alla base di tale concetto, quanto sia fondamentale un ulteriore elemento quale potenziale mitigatore di rischio: la cosiddetta correlazione (o decorrelazione) tra gli asset detenuti. Soprassedendo al significato del primo fattore è invece doveroso riportare la definizione per il secondo. Sempre consultando il Glossario presente sul sito di Borsa Italiana si può apprendere: «Relazione tra due strumenti finanziari (variabili). Tendenza di uno dei due a variare in funzione dell’altro. La correlazione sarà positiva nel caso in cui entrambi si muovano nella stessa direzione, negativa nel caso in cui si muovano in direzioni opposte e nulla nel caso in cui i due strumenti si muovano indipendentemente l’uno dall’altro».
Tenuto conto di tale considerazione e sfruttando l’ampia possibilità che di un’adeguata diversificazione, la gestione dei propri averi nel corso del tempo appare pressoché incasellata in semplici deduzioni: “diversifico il più possibile”, “scelgo asset decorrelati tra loro”, e attendo il trascorrere del tempo o più accademicamente circoscrivibile nel cosiddetto “lungo periodo”.
Al fine di poter verificare se tale condotta sia profittevole, riportiamo in questo nostro appuntamento un’analisi ex post forzata su singoli sottostanti che potenzialmente possono rappresentare i precedenti postulati. Per rappresentare – semplificando ma non troppo – sia la “diversificazione” che la correlazione (o decorrelazione), circoscriviamo volutamente l’osservazione ai due maggiori benchmark internazionali: l’indice MSCI World Usd per componente equity e il JPM Global Bond Index per la “opposta” asset class obbligazionaria. Relativamente all’arco temporale riteniamo possano bastare gli ultimi 20 anni poiché rappresentativi implicitamente sia dell’evoluzione degli stessi mercati finanziari (per esempio, sviluppo tecnologico in ambito di transazioni, maggior impiego di supporti quantitativi, ecc.), sia per quanto accaduto durante i diversi cicli economici.
Da tale comparazione, le risultanze emerse non giustificano – attraverso i risultati acquisiti – la bontà dei precedenti presupposti ritenuti fondamentali nella gestione degli investimenti. Sintetizzando sul versante della correlazione (o decorrelazione): dal 1999 al 2018 (escludiamo volutamente l’anno corrente perché ancora in corso) si possono rilevare solo 7 anni (1999, 2000, 2002, 2005, 2008, 2011 e 2013) in cui si è registrata un’effettiva correlazione negativa. In questi singoli archi temporali, all’aumentare dell’uno è conseguito parallelamente la diminuzione dell’altro. In tale rapporto inversamente proporzionale, l’elemento significativo che deve far riflettere, è ricondotto all’entità della perdita (o guadagno) potenzialmente accusata. Nel corso di questi 7 anni, a un incremento dell’indice MSCI World Usd, ha fatto da contrappeso una somma di performance negative di circa 16 punti percentuali (-15,99%) per la componente bond. All’opposto ovvero soffermandoci alla casistica che vede l’indice JPM GBI primeggiare positivamente nei confronti della componente azionaria – quest’ultima – ha accusato una flessione (quale sommatoria dei singoli saldi negativi fatti registrare in ciascun anno) di poco inferiore all’85% (-84,80%).
E ora spetta la valutazione delle performance acquisite nel corso del tempo dalle due “contrapposte” asset class. Dal 1999 a oggi, il benchmark azionario MSCI World Usd ha raddoppiato il proprio valore passando da un livello di prezzo di area 1.150 all’attuale soglia di 2.300 punti. Risultanze analoghe ma, contraddistinte da un maggior incremento, quelle riconducibili al JPM GBI: dai 250 punti del lontano 1999 si è giunti alle attuali quotazioni in area 560 (+124%).
Tutti i soggetti che si ritengono “pro-azionario” avranno le loro argomentazioni e continueranno a sostenerle al pari di tutti coloro che prediligono un approccio maggiormente conservativo privilegiando, pertanto, altre categorie di strumenti finanziari.
Noi, da quanto riportato, potremmo commentare attraverso molteplici conclusioni a favore dell’una o dell’altra strategia adottata nel corso di questi ultimi anni. Ma non è nostra intenzione. Le conclusioni (evidenti) sono date dai numeri e in tali circostanze, talvolta, i commenti non servono.