In un clima di dibattito molto acceso intorno all’evoluzione dell’inflazione, dei tassi di interesse e delle politiche monetarie che la Banche centrali più importanti si accingeranno a mettere in atto, rimane oltremodo incerto lo scenario che si profila per le azioni, dipendendo in gran parte dalle aspettative sugli utili nel medio termine e da quelle sull’inflazione.
L’indice azionario che prima di tutti reagisce ai mutamenti di sentiment degli operatori è il Nasdaq 100, ed è quindi da qui che partirà la nostra analisi.
La prima cosa da dire è che il Nasdaq mostra un quadro decisamente più debole rispetto all’S&P 500. Contrariamente all’S&P 500, infatti, non ha raggiunto il precedente massimo: in pratica il rimbalzo visto dal minimo di inizio ottobre per il momento resta catalogabile come “onda B”, fase intermedia di una correzione complessa (le correzioni di norma si realizzano in tre segmenti, catalogati con le lettere A, B, C).
Il livello di 14.384,93, minimo di ottobre raggiungibile in caso di violazione di area 15.010, rappresenta il supporto al di sotto del quale il trend sarebbe in fase negativa e la media mobile esponenziale a 200 giorni, a 14,080 punti, rappresenterebbe il successivo livello di guardia.
Anche l’S&P 500 si trova in una fase estremamente importante e delicata, dipendente dal sentiment del mercato e dalle notizie che si susseguono e rimbalzano nei media (a volte anche in modo eccessivo e incontrollato). Lo stesso, ma con una situazione di forza relativa cedente rispetto all’S&P 500, si può dire per il comparto dei tecnologici rappresentato dal Nasdaq 100.
La forza relativa
Il grafico di forza relativa altro non è che la risultante del rapporto tra una serie storica (tipicamente si scelgono i prezzi di chiusura di uno strumento finanziario) e un’altra. La curva che deriva da questo rapporto mostra, nel caso di un rialzo, che lo strumento al numeratore “sovraperforma” rispetto a quello al denominatore e viceversa. Nel caso della forza relativa Nasdaq 100/S&P 500 tipicamente si assiste ad un rialzo quando la Borsa nel suo complesso è in buona salute, quindi il Nasdaq 100 sovraperforma l’S&P 500 ed entrambi guadagnano di valore, e ad un ribasso quando la Borsa è cedente o incerta, con gli investitori che prediligono i meno rischiosi titoli dell’S&P 500 rispetto a quelli dell’indice hi-tech.
Il grafico di forza relativa si sta muovendo lateralmente da tre mesi circa, confermando quello che rivela anche il grafico dei prezzi, ovvero che a partire dai massimi di fine luglio il comparto tecnologico ha perso la spinta rialzista, pur senza avviare una vera e propria fase calante. A onor del vero si può notare sul grafico di forza relativa un potenziale “testa spalle” ribassista, figura che se completata, segnalerebbe l’inizio di una discesa potenzialmente estesa, alla quale rischierebbe di corrispondere un analogo movimento anche da parte del Nasdaq e di tutta la Borsa in generale. Fino a che il “testa spalle” non verrà completato, il movimento attuale sarà tuttavia da considerare laterale, suscettibile quindi di una evoluzione futura in entrambi i sensi e con la stessa probabilità.
Risk on oppure risk off?
Insomma, se non si può affermare che il mercato è risk off, non si può neanche affermare che è completamente risk on e un delicato equilibrio tra domanda e offerta può rapidamente spostare l’ago della bilancia anche molto velocemente. Riusciranno le trimestrali dei giganti della tecnologia Usa a sbloccare la situazione in un senso o nell’altro?
Per adesso l’85% circa delle società dell’S&P 500 che ha riportato i conti ha battuto le attese degli analisti e questo serve alle Borse per controbilanciare i timori di una crescita duratura dell’inflazione e di un contemporaneo ritiro degli stimoli monetari da parte delle Banche centrali. Ma proprio in vista di questi probabili cambiamenti di politica monetaria è corretto domandarsi come si posizionerà il mercato azionario in futuro.
Se analizziamo alcuni indicatori, tra i più diffusi tra gli analisti di Wall Street, lo scenario riflette uno stato di incertezza che dipende dall’azione di due forze contrastanti: da un lato, le speranze che la ripresa economica prosegua a passo spedito; dall’altro, il timore che inflazione e tassi in crescita mettano i bastoni tra le ruote agli utili aziendali.
A tal proposito proponiamo l’analisi del grafico tra il rapporto di un Etf Discretionary equal weight (US46137V3814) e un analogo Etf Consumer staples (US46137V3731) anch’esso equal weight. Questo rapporto indica tradizionalmente l’inclinazione del mercato verso settori più ciclici (e quindi con una propensione per il rischio maggiore) rispetto al settore dei consumi ritenuti “difensivi”. L’andamento del grafico è in una fase di evidente consolidamento, anche se all’interno di una tendenza positiva a favore del settore Discretionary, quindi favorevole ad una situazione “risk on”, dopo la rottura di una resistenza formata sul grafico da agosto. Tecnicamente costruttivo, ma ancora non risolutivo di una fase di incertezza.
La tendenza di una fase “flight to quality” degli investitori appare, poi, dal grafico che esprime il rapporto tra High Beta ($SPHBI)/Low Beta ($SPLVI). Qui appare decisamente più evidente il rafforzamento dei titoli meno volatili a discapito di quelli più volatili. In altre parole, non deve creare stupore il fatto che l’S&P 500 continui ad aggiornare i propri record, mentre il Nasdaq deve ancora confrontarsi con i massimi di settembre. Tuttavia, anche in questo caso, il grafico è in divenire e i titoli high beta potrebbero recuperare i massimi dei mesi precedenti qualora il mercato privilegiasse nuovamente posizioni più a rischio.
Titoli growth e value
Il rapporto tra titoli growth e titoli value è un altro indicatore interessante per misurare la propensione al rischio del mercato nel suo complesso. Il grafico appare in ripresa dopo il grande afflusso verso il value che ha caratterizzato il periodo da febbraio a maggio di quest’anno. Una nuova riallocazione del mercato verso il growth sembra tecnicamente in atto, anche se sicuramente, letto congiuntamente al grafico High beta/Low beta, il mercato predilige per il momento il growth di qualità e le large cap.
Small cap e large cap
Una delle conferme, a nostro avviso, che il mercato non si trova in una fase marcatamente risk on, nonostante la tendenza dell’S&P 500 a migliorare costantemente i propri record, è dato dal rapporto tra small cap (Russell 2000)/large cap (S&P 500), che letto anch’esso congiuntamente al grafico High beta-Low beta, esprime la preferenza degli investitori per i titoli meno volatili. In tal caso il grafico non lascia alcun dubbio, anche se potrebbe sicuramente migliorare a favore delle small cap se si ridimensionassero le aspettative di inflazione.
Di solito il grafico di forza relativa Russell 2000/S&P 500 (il Russell 2000 rappresenta l’andamento delle small cap) tende a salire quando la Borsa nel complesso sale, ovvero per un rialzo corale della Borsa è necessario che le small cap sovraperformino l’S&P 500. Questa situazione di sovraperformance è stata evidente da marzo 2020 a marzo 2021, quando il Russell 2000 ha assunto un andamento laterale, senza riuscire più ad intraprendere un rialzo e causando una lenta discesa del grafico di forza relativa. Per segnalare un cambiamento di orientamento incoraggiante sarebbe necessario che il Russell 2000 superasse i massimi di marzo a 2.360 circa e che anche la forza relativa nei confronti dell’S&P 500 riprendesse a salire.
Tuttavia, una volta iniziata la fase di tapering della Fed, una diminuita liquidità nei mercati potrebbe ulteriormente penalizzare le small cap.
Quello che appare dallo studio di questi indicatori è un mercato in cui gli investitori non abbandonano l’equity, ma ne privilegiano gli aspetti di stabilità, bassa volatilità, una crescita di qualità e rivolta alle large cap, meglio posizionate ad affrontare momenti di criticità sul fronte della liquidità.
Gli indicatori di “partecipazione”
Da ultimo, un’analisi di alcuni indicatori che misurano l’ampiezza di “partecipazione” rispetto al mercato nel suo complesso, i “breadth indicators”.
Il più noto è il NYSE advance-decline line, che misura il numero netto complessivo dei titoli del NYSE che aumentano (o diminuiscono) in un dato intervallo temporale. Dallo scorso luglio l’indicatore è in chiara fase laterale, attestando una specie di consolidamento, un trading range che testimonia l’equilibrio tra domanda e offerta, indecisione e incertezza nel mercato.
Un altro indicatore molto seguito è quello che mostra la percentuale di titoli sopra la media mobile a 50 giorni e quello relativo alla media a 200 giorni. Si tratta di due medie mobili estremamente rappresentative e sotto la costante attenzione da parte degli operatori, e l’indicatore relativo a ciascuna mostra percentuali in ripresa dopo il recente crollo tra settembre e ottobre.
Il numero dei titoli sopra la media mobile a 50 giorni è al 59% circa dopo una situazione di ipervenduto al 22% toccata a luglio, comunque in netto calo dai massimi di inizio anno all’88% circa. Il numero dei titoli sopra la media mobile a 200 giorni segna un 53% circa dopo un minimo a 44% circa a fine settembre. Tuttavia entrambi gli indicatori sono in discesa dal febbraio di quest’anno (l’MMTH era al 92% quasi), e tale enorme divergenza rispetto al grafico dell’S&P 500, che per lo stesso periodo ha disegnato invece un grafico di tendenza nettamente positiva, è l’aspetto che tecnicamente segnala una “red flag” sull’attuale situazione del mercato azionario.
Queste divergenze tra il grafico dell’indice e gli indicatori sono sempre pericolose dal momento che segnalano che qualche cosa, fino a quel momento, nella struttura più intima del trend non è così solido come invece sembrerebbe. Certo, la situazione di divergenza si può risolvere anche in modo indolore, magari con una semplice lateralità del mercato, ma in ogni caso si tratta di un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Un consiglio agli investitori
Insomma, segnali di uno scongiurato pericolo di ribassi ulteriori non ce ne sono, inoltre il posizionamento tecnico del Nasdaq e di alcuni indicatori di mercato segnalano che sarà necessaria una notevole forza rialzista, che potrebbe essere determinata da un catalist qualunque, per fare proseguire un rialzo corale delle azioni.
In particolare, le aspettative di inflazione non ancora ben delineate concorrono all’invito rivolto agli investitori a collocarsi su posizioni a basso rischio, in titoli di società dotate di un solido balance sheet, a larga capitalizzazione e che, soprattutto, siano in settori ad alta capacità di pricing power, capaci cioè di trasferire sui consumatori finali innalzamenti di prezzo dovuti a un’inflazione fuori controllo, e quindi dotate di quel famoso “economic moat” tanto caro a Buffett e soci.
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