I mercati finanziari stanno vivendo giorni particolarmente complessi. I ribassi finora registrati pongono molti interrogativi tra gli addetti ai lavori che, osservando le analisi, le ricerche delle banche d’affari e le stime degli analisti, cercano di poter individuare la nuova destinazione alla quale il mercato vuole giungere. Inversione di tendenza dopo anni di rialzo oppure una semplice correzione di breve termine? Molteplici le considerazioni a supporto dell’una o dell’altra ipotesi, ma, a smontare l’intento indagatore, ci sono sempre loro: i numeri che, attualmente, si assestano in pesante territorio negativo.
Prescindendo da quello che potrà accadere è doveroso soffermare l’attenzione su alcuni aspetti che la “storia del mercato” ha comunque finora insegnato. Il tema che vogliamo approfondire in questo nostro appuntamento (ne seguiranno altri) è quello legato alla diversificazione geografica in ambito azionario cercando di accertare la reale efficacia della stessa.
Per meglio delimitare il perimetro dell’analisi è opportuno iniziare con le principali definizioni e l’iniziativa “Quello che conta” (Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria istituito nel 2017 con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con quello dello sviluppo economico, in attuazione del Decreto Legge n. 237/2016, convertito in Legge n. 15/2017, recante “Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio”) giunge a supporto.
Dal Glossario presente sul sito della sopracitata iniziativa si apprende come la “diversificazione di portafoglio” «si riferisce all’acquisizione di più prodotti finanziari che generalmente mostrano andamenti tra loro differenti (tecnicamente si dice “non correlati”). Evitando di investire tutto il capitale in un unico prodotto (o in un’unica tipologia di prodotti con caratteristiche di rischio molto simili tra loro) si riduce il rischio del portafoglio considerato nel suo complesso». Continuando nella consultazione, ma parlando invece di rischio, viene indicato: «In ambito finanziario il rischio è rappresentato dall’incertezza legata al valore futuro di un’attività o di uno strumento finanziario o, più in generale, di un qualsiasi investimento».
Infine, assimilando i precedenti concetti, si arriva alla cosiddetta “Diversificazione del rischio” ovvero la «possibilità di ridurre la rischiosità di un investimento o di un portafoglio di titoli o attività allocandoli in diversi strumenti, i cui rendimenti non sono perfettamente correlati. Ovvero, per diversificare il rischio, non si devono mettere tutte le uova in un solo paniere».
Dal punto di vista meramente teorico i dubbi non sembrano esserci. Ora, però, andiamo a convertire la teoria con la realtà e, a seguito di questo, potremo verificare la corrispondenza tra “il dire e il fare”.
Come detto, limiteremo volutamente l’osservazione alla sola asset class azionaria e, nello specifico, ci rifaremo alla classificazione prevista dal provider MSCI che segmenta il mercato equity in tre macro filoni (benchmark): developed markets (rif. MSCI World Index), emerging markets (rif. MSCI Emerging Markets Index), frontier markets (rif. MSCI Frontier Markets Index). All’interno di ciascun mercato sono facilmente individuabili i singoli Paesi che ne fanno parte e, in questa nostra analisi, verranno denominati in dollari statunitensi al fine di una corretta comparazione con i rispettivi benchmark.
Dalla sintesi delle serie storiche dei rendimenti (dal 2008 fino al 2021) si possono riscontrare i ritorni annuali di ciascun basket geografico e, all’interno di essi, la presenza di alcune piazze finanziarie alquanto inefficaci sia in termini di performance che di rischio associato (rif. deviazione standard annualizzata a 3, 5 e 10 anni); tradotto nella più elementare pratica ciò equivale a un’assunzione di rischio (elevato) non ripagato adeguatamente dal guadagno conseguito.
Numeri alla mano, la diversificazione in termine di Paese non comporta quello che la teoria finanziaria (v. sopra) insegna: paradossalmente, tra i vali listini azionari, è facilmente osservabile come, talvolta, l’atto del diversificare sia un vero e proprio sinonimo di amplificazione del rischio anziché di una sua riduzione. Semplificando estremamente il concetto, può accadere che, a un mercato rialzista possa corrispondere una performance complessiva di portafoglio (diversificato su più Paesi) inferiore a quella effettivamente realizzata mentre, in caso di ribasso, “la diversificazione” può agevolare una maggiore perdita in conto capitale.
L’amara conclusione alla quale si è giunti accomuna tutte e tre le aree di mercato prese in esame con un’eccessiva implicazione (negativa) per quella più esotica riconducibile ai frontier markets.
Preso atto di questa sintesi e dei relativi elementi oggettivi riportati, dal punto di vista operativo è pertanto auspicabile una razionalizzazione dei portafogli di investimento (rif. asset class equity) attraverso un solo e prioritario obiettivo: ottimizzare le scelte non solo perché la teoria lo prevede, bensì perché la finanza lo impone.
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