L’avido e l’avidità. Attribuite a ciascuno il corretto significato. Senza alcuna fretta. Pensateci. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo adottato due modalità nel ricercare la descrizione più idonea.

La prima via, quella classica, quella da boomer, attraverso la consultazione del vecchio (praticamente scomparso) e desueto vocabolario della lingua italiana e, poi, la seconda strada, più alternativa, ma, soprattutto, più attuale ovvero attingendo al recente rapporto Analisi & Ricerche pubblicato dalla Fabi.



Iniziamo. Il Devoto-Oli individua avido come aggettivo dal tratto «smodatamente desideroso, bramoso (anche in senso positivo)». Sull’avidità, invece, si apprende di un «desiderio incontrollato che sembra non placarsi neppure se soddisfatto (anche in senso positivo)». Soffermiamo l’attenzione alle parole presenti in quest’ultima definizione: desiderio incontrollato, sembra non placarsi, neppure se soddisfatto. Verosimilmente, se ripetuto più volte, potrebbe rappresentare un mantra. Ecco, a tale improbabile litania, ora, accostiamo la seconda chiave di lettura che associa entrambi i termini in un’unica considerazione e, come indicato, impiegheremo un testuale estratto dal rapporto di Fabi: «Meno liquidità sui conti correnti, propensione al risparmio intatta, ma ricerca di maggiori rendimenti anche a costo di rischi più elevati».



Non so voi, ma, per chi scrive, un concreto e pratico parallelismo è pressoché reale. Ancor più se, proseguendo nella lettura, si possono riscontrare alcune (ulteriori) sottolineature afferenti alla bramosia di fondo. Vediamo. «Dopo le distanze prese, nel corso degli ultimi anni, da rischi e incertezze di investimenti redditizi, i risparmiatori tornano a guardare con interesse non solo alla profittabilità degli investimenti obbligazionari, ma anche a quella più spinta del comparto azionario», «La lunga stagione di inflazione e tassi di interesse non ha, infatti, frenato l’attitudine al risparmio degli italiani, ma ne ha rilanciato la fiducia e gli investimenti finanziari, alla riscoperta di una remunerazione più alta», «Il dilemma della liquidità e l’appetito per il guadagno fanno si che il peso del contante che giace nei conti bancari resta però ancora elevato», «Dati che attestano una ritrovata appetibilità del rischio, seppure contenuta, per il 2023 e la prevalenza di strumenti che, pur non essendo facilmente monetizzabili rispetto ai depositi, rappresentano un segnale di interesse delle famiglie alla remunerazione».



Anche in questo caso, è bene riprendere alcuni estratti dalle stesse evidenze riportate. Spinta del comparto azionario, riscoperta di una remunerazione più alta, l’appetito per il guadagno, ritrovata appetibilità del rischio (seppur contenuta). Potrebbe apparire una forzatura, ma, rileggendo più volte, sembra di vivere una corsa all’oro caratterizzata da un tempo limitato e posti a disposizione per pochi eletti.

I dati che Fabi presenta sono decisamente importanti e, nonostante si faccia riferimento ai soli primi nove mesi del 2023, i rilievi pubblicati rivestono prevalentemente un andamento positivo attraverso la seguente sintesi: «Nel corso del 2023 la ricchezza finanziaria degli italiani è cresciuta di quasi 80 miliardi di euro ed è arrivata a quota 5.216 miliardi, ben 552 miliardi in più rispetto al 2019 ovvero prima della pandemia. Lo scorso anno i depositi bancari si sono asciugati per 61 miliardi. In soli nove mesi, tra azioni, titoli obbligazionari e fondi comuni le famiglie italiane hanno accumulato oltre 144 miliardi in più sotto forma risparmio, con una crescita che si aggira – rispetto al 2022 – a poco meno del 45% circa per i titoli obbligazionari, all’1,69% per i fondi comuni e all”1,35% per il comparto azionario».

A questa importante dinamica, il Segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, ha commentato: «La ricchezza finanziaria delle famiglie equivale a due volte e mezzo il Pil italiano e corrisponde a quasi il doppio rispetto al nostro debito pubblico. La ritrovata voglia di guadagni da parte della clientela conferma la centralità della consulenza in banca: 300.000 lavoratrici e lavoratori delle banche che sono sempre al fianco delle famiglie italiane nelle scelte d’investimento».

Sempre nel rapporto di Fabi emerge un ulteriore elemento di positività che strettamente riguarda il nostro debito pubblico: «Raddoppiati negli ultimi 2 anni Bot e Btp in mano a famiglie e imprese. Adesso i privati hanno il 13,5% di titoli di Stato in circolazione, gli stranieri calano al 27%». Dati che confermano l’interesse e l'”innamoramento” da parte degli italiani ai titoli di casa nostra. Un impeto che, di fatto, ha visto una crescita costante nel corso dei mesi, infatti: «A dicembre 2021, con il debito che aveva toccato i 2.572 miliardi, il mercato retail aveva il 6,4% delle obbligazioni emesse dal Tesoro in circolazione, vale a dire 142 miliardi su 2.234 miliardi complessivi di titoli e 2.678 miliardi di debito totale. A fine 2022, con il debito che aveva toccato i 2.757 miliardi, un primo scatto: la percentuale di titoli statali in mano alle famiglie era salita all’8,7% (199 miliardi su 2.280 miliardi di titoli). Ma è nei primi 11 mesi dello scorso anno che, tra Btp Italia e Btp Valore, la corsa delle famiglie e delle imprese a comprare debito pubblico si è fatta più insistente: a novembre (ultimo dato disponibile, quando il debito era arrivato a 2.855 miliardi), i privati avevano il 13,5% di Bot e Btp, cioè 320 miliardi sui 2.378 miliardi totali di emissioni statali. Nello stesso biennio in esame, il debito italiano nei portafogli degli investitori esteri è passato da 685 miliardi del 2021 ai 658 miliardi del 2023, con la quota calata da 30,7% al 27,3%». Oggettivamente, guardando ai numeri concernenti quest’ultima riduzione, non possiamo parlare di disaffezione o divorzio con l’Italia. Tutt’altro.

Complessivamente il rapporto di Fabi parla chiaro, molto chiaro, le risultanze sono positive, molto positive. Nonostante l’oggettività dei dati rispecchi un vantaggio per tutti, per l’Italia e gli italiani ciò che, invece, preoccupa sono gli aspetti di natura strettamente soggettiva. Potremmo essere ripetitivi, ma, questo benessere italiano non convince a pieno. Troppo facile. Troppo alla portata di tanti o, forse, è meglio dire di tutti. Un benessere che, come emerso, non basta. Non è sufficiente. Si vuole ancora di più.

Vorremmo sbagliarci in questo, ma, e nell’odierno articolo di “ma” ce ne sono molti, tale Bengodi potrebbe richiamare alla mente un recente passato dove, anche in quell’occasione, l’avidità (e gli avidi) ne hanno fatto, poi, le spese. Allora si parlava di titoli di Stato tedeschi, oggi, invece, a rischiare potrebbero essere soggetti diversi che, attraverso l’impiego di altri strumenti finanziari (quelli azionari), vanno alla ricerca di un maggiore rendimento non curanti dell’attuale status economico e finanziario internazionale. Avaritia pecuniae studium habet.

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