Manca la fiducia e quella rimasta registra nuovi minimi. Dopo la pubblicazione del dato a inizio mese relativo all’indice Sentix (nella zona euro è crollato a -17,1 rispetto al 5,2 di febbraio), ieri è stato diffuso il definitivo indice Ifo tedesco che a marzo è sceso a 86,1 (dal precedente 96 di febbraio), riportando i valori della Germania ai minimi del 2009. Come sintetizzato dallo stesso presidente dell’Ifo, Clement Fuest, «si tratta del calo più marcato mai registrato dalla riunificazione tedesca e del valore più basso dal luglio 2009». Lo stesso Fuest, già in occasione della diffusione del dato preliminare Ifo, aveva preannunciato il tanto temuto alert sulla principale economica del Vecchio continente: «L’economia tedesca sta correndo verso la recessione» (fonte Reuters). Ieri, ne ha ulteriormente sottolineato, la gravità dell’attuale status: «L’economia tedesca è sotto shock».



Di certo, con il coronavirus, si è innestata una vera e propria accelerazione all’intero processo di deterioramento di tutti bilanci nazionali, ma, ancor prima di questo nefasto evento, le avvisaglie erano già presenti e di pubblico dominio: noi stessi, prima ad agosto e ancor più recentemente a febbraio, avevamo soffermato l’attenzione sull’ormai concretizzata recessione in territorio tedesco. Oggi, in molti, si interrogano su quali potrebbero essere le più efficaci scelte per meglio definire una valida exit strategy per l’intera economia globale e, al momento, i molti istituti di ricerca, analisti e banche d’affari, cercano di poter stimare quale possa essere l’impatto su uno dei principali dati sintetici rappresentativi dello stato di buona salute di un paese: il Pil.



Le variazioni che si leggono in queste giornate sono molto ampie e diverse tra loro. In questa sede non vogliamo produrre una nostra stima poiché, in base ai dati finora diffusi, riteniamo possa essere troppo prematuro e pertanto oggetto di potenziale variabilità.

Rimanendo comunque in tema di Pil, quello che invece vogliamo sottoporre alla vostra attenzione, è quanto accaduto in situazioni di significativa crisi economica/finanziaria mondiale (circoscrivendo volutamente l’analisi al solo periodo 2008/2009): utilizzando le serie storiche “World Bank national accounts data, and OECD National Accounts data files” della Banca mondiale riconducibili a Usa, Giappone, Cina, Germania e Italia, si può – oggettivamente – valutare quale sia stato il successivo andamento nei successivi anni.



Cina esclusa, nel corso del 2009, il Pil degli altri Paesi si attestava negativamente oltre i cinque punti percentuali. Nel successivo anno 2010 si iniziava a intravvedere una netta inversione di tendenza (pari al cosiddetto movimento a “V”) con eccezione della nostra Italia. Nel corso del 2011, il precedente saldo negativo del 2009, era pressoché riassorbito (tranne che per il Bel Paese).

Parallelamente all’andamento economico, riteniamo possa essere interessante affiancare anche quello finanziario ovvero quanto accadeva sulle piazze borsistiche dei singoli Paesi.

Come appare evidente, dopo l’accentuata flessione del 2008, nei successivi due anni, si è potuto assistere a una risalita dei corsi: capofila l’indice della borsa cinese (rif. Shanghai) con un incremento del 54,22%, seguito dagli Usa con +39,23%, dalla Germania (+43,74%), dal Giappone (+15,46%) e dall’Italia fanalino di coda con un modesto +3,67%.

Tornando all’attualità dei giorni nostri, il motivo scatenante di questa nuova crisi economica mondiale appare meno arginabile finanziariamente rispetto al passato: se ai fallimenti del 2008 “poteva bastare” nuova liquidità immessa sul sistema, oggi tale strumento non appare sufficiente. Il peso dello stop imposto a gran parte del tessuto industriale ed economico di ciascun Paese è oggettivamente significativo. Il timore di non ritrovare quanto avevamo prima della crisi è tangibile e i vari indici sulla fiducia ne rappresentano la concreta (utopistica) realtà.

Sicuramente, come la storia insegna, anche questo periodo sarà superato e andrà ulteriormente ad arricchire i futuri trattati di economia. Il 2020 e i primi sei mesi del 2021 potrebbero caratterizzarsi per un diffuso Pil negativo. Il vero timore è qui, nei numeri: quei numeri che in molti oggi diffondono e che domani – con molta probabilità – non potranno trovare riscontro nella realtà dei fatti.

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