Il rimbalzo è riuscito a Wall Street e a Tokyo, mentre le Borse europee ieri sono riuscite solo a limitare le perdite a pochi decimali. È probabilmente ancora presto per capire se, dopo i forti ribassi che si sono susseguiti tra giovedì scorso e martedì, il peggio possa essere alle spalle o meno. Secondo Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e Presidente del Centro studi EconomiaReale di Roma e dell’Istao di Ancona, «i mercati sono un termometro e in questo caso stanno segnalando che ci sono dei problemi sia sul fronte economico che geopolitico. A provocare la discesa delle Borse, quindi, è stata la combinazione di due elementi: l’aria di recessione che aleggia sugli Stati Uniti e la Germania; i venti di guerra che spirano sul Medio Oriente».



È possibile parlare di recessione in arrivo negli Stati Uniti quando l’ultimo dato sul Pil è un +2,8% nel secondo trimestre?

Quando parliamo dell’economia statunitense non possiamo usare le stesse categorie che usiamo per quella europea. Infatti, una crescita del 2%, che per noi sarebbe un risultato positivo importante, oltreoceano corrisponde a una frenata dell’economia. In questo momento, quindi, gli Usa crescono più dell’Europa, ma sono in fase di rallentamento. Vedremo come saranno i prossimi dati sul mercato del lavoro americano.



Per quanto riguarda lo scenario geopolitico, sono mesi ormai che in Medio Oriente c’è una situazione che potrebbe sfociare in un conflitto regionale importante, ma i mercati non sono mai apparsi preoccupati…

Dalla fine della scorsa settimana, però, le cose sono cambiate radicalmente: si attende l’attacco a Israele da parte dell’Iran o dei suoi proxies e non si esclude che possa essere Israele stesso a effettuare un attacco preventivo. Inoltre, come ho detto prima, a muovere i mercati non è solo la situazione geopolitica che può sfociare in una nuova guerra, dopo quella in corso in Ucraina, ma anche quella della congiuntura economica. Parlando di Borse non possiamo però trascurare un paio di dettagli non certo irrilevanti.



Quali?

Il primo è che i listini sono di fatto dominati dall’andamento di poche Big corporation, la cui capitalizzazione è superiore al Pil di un centinaio di Paesi nel mondo. Il secondo è che le Borse nell’ultimo anno sono cresciute di circa il 40%, quindi i cali di questi giorni non compromettono una performance annuale in ogni caso positiva.

Se le cose dovessero volgere al peggio, cosa potrebbero fare Governi e Banche centrali?

Prima di rispondere credo sia importante evidenziare che negli ultimi anni stiamo assistendo a uno stravolgimento del tradizionale ruolo delle Banche centrali: invece di essere le bussole che indicano la rotta ai mercati, navigano a vista e attendono i dati economici per poi decidere. Detto questo, oggi potrebbero intervenire, ma in ritardo – come del resto hanno già fatto di fronte a un’inflazione che consideravano transitoria -, visto che l’economia rallenta. Continuano, purtroppo, a essere frenate dai timori di un’inflazione che si è ormai sgonfiata e proseguirà la sua discesa.

Le Banche centrali dovrebbero quindi tagliare i tassi?

Sì, ma se lo faranno a settembre rischiano di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati e di dover effettuare una riduzione consistente. La politica monetaria, tuttavia, si dimostra efficace quando evita di causare brusche salite o discese ai mercati.

Dovrebbe, quindi, esserci un summit straordinario in agosto, visto che prima di metà settembre non sono in programma riunioni né del Fomc della Fed, né del Consiglio direttivo della Bce?

Esattamente. Del resto contano di più i giorni del calendario fissato o gli eventi che incombono?

La Fed dovrebbe intervenire anche se mancano tre mesi alle presidenziali?

Se vuole dimostrare la propria indipendenza, una Banca centrale deve intervenire quando ce n’è bisogno, a prescindere dalle scadenze elettorali. Diversamente sarebbe dipendente dalla politica.

Detto delle Banche centrali, cosa possono fare i Governi?

Il Governo americano ha già fatto abbastanza, per esempio varando l’Inflation reduction act, contenente ingenti sostegni all’industria, mentre quello europeo, come purtroppo sappiamo, non esiste.

Soffermandoci sui venti di guerra in Medio Oriente, quali rischi corre la nostra economia?

Gli impatti per l’Europa sarebbero diretti e forti, anche perché è in corso un conflitto in Ucraina. A mio avviso questi eventi dovrebbero convincere i nostri cari amici tedeschi che neanche la potente Germania può far più da sola. La crisi della sua economia non è congiunturale, ma strutturale. E la punta dell’iceberg è rappresentata dal fatto che l’Ue ha regalato 20 anni di vantaggio alla Cina sull’auto elettrica. Di fronte questa situazione l’Europa dovrebbe essere indotta come minimo a rendere permanente il Next Generation Eu.

Una decisione da prendere il prima possibile?

È da tempo che ripeto che si tratta di una decisione urgente da assumere. L’attuale situazione di stagnazione economica dovrebbe insegnare ai tedeschi che anche la potente Germania ha bisogno dell’Europa e che senza un minimo di bilancio federale, di politica industriale, di innovazione tecnologica, di difesa e sicurezza europea non si va da nessuna parte. Per questo il Next Generation Eu deve diventare permanente, finanziato tramite emissioni di debito comune.

(Lorenzo Torrisi)

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