I DEPISTAGGI DI 4 POLIZIOTTI SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO: LE RICHIESTE DEI PM DI CALTANISSETTA

Depistaggi con reticenze, silenzi, “non ricordo” e sostanziale malafede: sono accuse molto gravi quelle presentate dai pm di Caltanissetta nella richiesta formale di rinvio a giudizio per 4 poliziotti sulle indagini per la Strage di Via d’Amelio dove il 19 luglio 1992 a Palermo perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Il procuratore Maurizio Bonaccorso, durante l’udienza preliminare svoltasi questo pomeriggio in Sicilia (e riportata in ampi stralci da “ANSA” e SkyTG24), ha chiesto il processo per Giuseppe Di Gangi, Angelo Tedesco, Maurizio Zerilli e Vincenzo Maniscaldi, con il reato di depistaggio. Per i poliziotti appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino” l’accusa è circostanziata ma molto grave: nell’epoca terribile delle stragi mafiose di Cosa Nostra contro gli uomini di Stato che avevano “osato” frapporsi contro la mafia siciliana, i poliziotti che indagavano sulla morte di quei giudici avrebbero “ritardato” le inchieste, rendendo anche false dichiarazioni durante le deposizioni nei primi processi su Via D’Amelio.



Morto in un attentato pochi mesi dopo il suo amico e collega di una vita, Giovanni Falcone, il giudice Borsellino stava indagando sui rapporti tra mafia, appalti e politica: da tempo la magistratura ritiene che determinati depistaggi avvenuti anche da uomini dello Stato nei vari processi possano essere stati determinati proprio per “coprire” eventuali scoperte fatte dal magistrato antimafia. Nello specifico, l’udienza preliminare che si svolge a Caltanissetta vede al centro i depistaggi di questi 4 poliziotti tutti testimoni nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che già si era concluso in passato con la condanna in secondo grado di svariati personaggi, mentre venne prescritto il reato di calunnia. La prossima udienza preliminare è attesa il 13 novembre, entro fine anno dovrebbe poi arrivare la decisione del Gup in merito al rinvio a processo o archiviazione per la posizione dei poliziotti indagati.



CHI ERANO I 4 POLIZIOTTI E DI COSA SONO ACCUSATI. LA DIFESA: “MAI MENTITO AL PROCESSO”

I 4 agenti che appartenevano alla Squadra mobile di Palermo dal 1993, lavoranti direttamente alle indagini per la strage palermitana, vengono accusati di aver reso «reticenze e false dichiarazioni» in quei processi già svoltisi. Secondo il pm Bonaccorso vi sarebbe una proporzionalità “diretta” tra i vari “non ricordo” detti durante le audizioni da testi: non solo, vi è anche un profondo atteggiamento «di malafede dei testimoni al Borsellino quater e al processo depistaggio». Nella lunghissima requisitoria del pm (riportata dal Giornale di Sicilia), che ha ricostruito nei atti tutti i precedenti processi sull’attentato Borsellino, viene sottolineato nel dettaglio dove vi sarebbero state le false dichiarazioni rese nei primi atti processuali: Zerilli, Tedesco, Maniscaldi e Di Gangi rischiano ora un nuovo processo perché avrebbero mentito più volte nell’inchiesta sul falso pentito Vincenzo Scarantino.



I “non ricordo” sarebbero insomma una falsificazione continua, denuncia il pm Bonaccorso, così come l’inquinamento probatorio avvenuto durante le fasi di indagine sulla Strage di Via D’Amelio: «Se andiamo ad esaminare le dichiarazioni dei poliziotti nei primi tre tronconi» dei processi, spiega ancora il magistrato, quando ovvero il grande castello di falsi e menzogne era ancora in “atto”, «abbiamo dei testimoni tranquilli e sereni che rendono dichiarazioni che dopo scopriremo essere totalmente false». Hanno prima lasciato creare il “mostro” Scarantino – ha detto in aula l’avvocato civile Fabio Trizzino – e poi dopo la caduta delle tesi del finto pentito, non hanno aiutato a capire cosa realmente sia successo sull’attentato a Paolo Borsellino: «Alcuni hanno mentito in maniera spudorata. Abbiamo assistito a momenti in cui avete umiliato i vostri colleghi, la memoria dei vostri colleghi».

Davanti al Gup ha provato invece a difendersi uno dei 4 poliziotti accusati di despitaggi, ovvero Vincenzo Maniscaldi: nel processo Borsellino contro altri tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata – ovvero, Michele Ribaudo, Mario Bo e Fabrizio Mattei – l’agente oggi alla sbarra spiega di non aver reso false dichiarazioni e nemmeno risposte in malafede nei processi. Respinge i sabotaggi sulle telefonate e le intercettazioni, così come le dichiarazioni di Scarantino che per anni venne considerato un credibile pentito di mafia, «Lui poteva solo fare telefonate ma non riceverle. Noi non sapevamo quando telefonava e a chi telefonasse», replica Maniscaldi.