Sui mercati finanziari continua lo scollamento tra Borse ed economia. I dati macro e le previsioni di recente uscita non sono incoraggianti per l’economia.
In Germania è stato reso noto l’indice Zew, che misura la fiducia degli investitori istituzionali in merito alle aspettative sull’economia del paese, ancora negativo a ottobre, sebbene superiore ai minimi rilevati ad agosto. Il dato si è attestato a -22,8 punti dai -22,5 di settembre e dai -44,1 di agosto, a fronte di attese degli analisti pari a -27 punti.
Ma è la situazione generale a preoccupare. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso la stima di crescita dell’economia globale per il 2019 a +3% da +3,2% della precedente proiezione. Analoghe valutazioni per l’Area euro, per la quale lo stesso Fmi stima una crescita economica dell’1,2% nel 2019 e dell’1,4% nel 2020. Nella precedente proiezione il Pil era atteso in crescita dell’1,3% nel 2019 e dell’1,6% nel 2020. Riviste al ribasso anche le stime sul Pil dell’Italia: nel 2019 è attesa ora una crescita zero (da +0,1% della precedente proiezione), mentre è stimata una lieve ripresa nel 2020 (+0,5% da +0,8%). Per la Germania il taglio è stato anche più significativo: crescita dello 0,5% nel 2019 (-0,2% rispetto alla stima precedente) e dell’1,2% nel 2020 (-0,5%).
La scure si abbatte anche sugli Usa: +2,4% di crescita attesa nel 2019 dopo il 2,9% del 2018, -0,2% rispetto alle stime di luglio, ma 2,1% nel 2020, +0,2% dalle valutazioni precedenti (unica variazione positiva per il prossimo anno assieme a quella del Giappone, atteso in crescita dello 0,5% nel 2020 dal +0,4%).
Anche il governo italiano, del resto, ha previsto nella NaDef una crescita tendenziale dello 0,1% quest’anno e dello 0,4% per il prossimo (0,6% programmatico, cioè includendo gli effetti dei provvedimenti di futura attuazione).
Le attese del Fmi sono simili a quelle dell’Ocse, che nel suo rapporto sull’economia globale, aggiornato a settembre, prevede una crescita globale al 2,9% quest’anno e al 3% nel 2020, rispettivamente 0,3 e 0,4 punti in meno rispetto alle stime fatte in primavera.
L’Ocse rivede anche le stime per l’Italia: crescita zero per quest’anno e dello 0,4% nel 2020 dal precedente +0,6%, il risultato peggiore, se venisse confermato nei fatti, tra le economie avanzate, esclusa l’Argentina.
La Cina, secondo l’Ocse, potrebbe crescere solo del 6,1% nel 2019 dopo il +6,6% del 2018 e del 5,7% nel 2020 (quando il paese a maggiore tasso di sviluppo dovrebbe essere l’India con un +6,3%), gli Usa del 2,4% nel 2019 (dopo il 2,9% del 2018) e del 2% nel 2020.
C’è da dire che tutte queste previsioni sono state avanzate prima che si vedesse uno spiraglio di luce nei rapporti tra Usa e Cina, ora invece gli investitori scommettono su un’intesa commerciale più ampia tra Washington e Pechino, e segnali distensivi arrivano anche dall’Europa sul fronte Brexit.
E’ normale che i mercati azionari, depressi proprio dalla guerra dei dazi e dalle sue ricadute sulla crescita globale, con le ultime novità cerchino di aggiustare il tiro.
Ma non ci sono solo buone notizie per gli investitori: Hong Kong finisce, infatti, al centro della disputa commerciale tra Usa e Cina: l’House of Representatives ha approvato una norma che richiederebbe una valutazione annuale sul fatto che la città sia sufficientemente autonoma da Pechino per giustificare il suo status commerciale speciale ai sensi delle leggi Usa. Una simile proposta normativa verrà discussa a Washington anche dal Senato. E la Cina ovviamente ha minacciato ritorsioni nel caso gli Usa insistessero in questo atteggiamento.
Il dato Usa sulle vendite al dettaglio del mese di settembre, in calo dello 0,3% a fronte di attese di un +0,3% e di un dato precedente di un +0,4%, è preoccupante, così come lo è il “Beige Book” della Fed. Secondo quanto emerge dall’edizione del Beige Book diffusa mercoledì 16 ottobre dalla Federal Reserve (Fed), relativa al periodo fino allo scorso 7 ottobre, l’attività economica in Usa ha continuato nella sua espansione, definita complessivamente “da debole a modesta”, in peggioramento quindi rispetto ai precedenti rapporti in cui la crescita era stata “modesta”.
Da alcuni dei dodici distretti in cui vengono divisi gli Stati Uniti sono arrivate indicazioni di come le persistenti tensioni commerciali e la crescita globale più lenta abbiano pesato sull’attività. Nel settore bancario è stato riportato un volume dei prestiti moderatamente in aumento, mentre l’attività nei servizi non finanziari è cresciuta notevolmente.
Le produzioni agricole sono ulteriormente peggiorate a causa degli impatti continui causati da condizioni meteorologiche avverse, prezzi delle materie prime deboli e tensioni commerciali. In generale, ci si attende che l’espansione economica continui, anche se in molti casi sono state abbassate le prospettive di crescita nei prossimi 6-12 mesi.
I mercati per adesso decidono di vedere il bicchiere mezzo pieno, ovvero, in presenza di un rallentamento della crescita, la Banca centrale Usa sarà più facilmente portata a un’ulteriore riduzione del costo del denaro già ad ottobre.
Le Borse, comunque, restano in vista di importanti resistenze, pronte a romperle nel caso i pezzi del mosaico alla fine torino a incastrarsi.
Il Dax Kursindex, la versione “price index” del Dax (quella, quindi, che non cumula i dividendi), ha toccato, come già a luglio, i massimi di maggio di quota 5.660. In caso di una chiusura di ottava oltre quei livelli si potrebbe dichiarare terminata la fase correttiva che ha caratterizzato gli ultimi 6 mesi circa e ripreso l’uptrend che si era visto tra dicembre e inizio maggio. Prima resistenza, in quel caso, a 5.800 circa, successiva a 6.050/6.100. La rottura di area 5.660 vorrebbe dire, quindi, che gli investitori hanno preso una decisione, ovvero che vogliono, a meno di imprevisti sul fronte delle notizie, un finale d’anno al rialzo. La mancata rottura di 5.660 e la violazione di area 5.450 rimetterebbero invece tutto in discussione, facendo temere un nuovo passaggio nella parte bassa della fascia di oscillazione degli ultimi mesi, in area 5.100.
Il grafico di forza relativa che mette in rapporto il Dax Kursindex con il Bund future fornisce indicazioni moderatamente positive.
Questo grafico, oltre a segnalare se il mercato azionario è in grado o meno di sovraperformare quello obbligazionario (ovviamente tenendo conto solo dei movimenti di prezzo di quest’ultimo), è anche un buon indicatore di sentiment: quando la curva di forza relativa è al ribasso significa che il mercato è in modalità “risk off”, privilegia cioè i bond alle azioni; viceversa, invece, quando la forza relativa sale. Dopo essere stato mediamente orientato al ribasso dal gennaio del 2018 il grafico di forza relativa sta cercando ora di invertire la sua tendenza e lo fa con la comparsa di un piccolo “doppio minimo”. Se la figura rialzista verrà confermata, il tentativo di dare un seguito all’uptrend visto dai minimi di fine 2018 diverrebbe decisamente più convincente.
Lo stesso esercizio lo si può tentare con il grafico dell’S&P 500. L’indice Usa è in pressing sui massimi di sempre toccati a luglio a 3.028 punti, uno spartiacque importante, oltre il quale le incertezze vissute negli ultimi mesi verrebbero accantonate e diverrebbe probabile un’estensione del rialzo verso i 3.200 punti almeno.
Lo studio del grafico di forza relativa che mette in rapporto l’indice di Borsa con il future sui titoli di Stato a 10 anni racconta, però, una storia un po’ diversa. Anche in questo caso la curva di forza relativa può essere letta come un barometro della propensione al rischio del mercato: quando la curva sale è perché gli operatori si dimostrano più inclini ad accettare un maggior rischio, ma in questo caso i massimi record sono quelli dell’ottobre 2018 e non quelli di luglio come sul grafico dei prezzi.
Del resto, secondo la teoria delle onde di Elliott, tutto il rialzo visto dai minimi di dicembre 2018 farebbe parte di una struttura correttiva, iniziata a settembre 2018, del precedente rialzo pluriennale, e non di una nuova tendenza crescente autonoma.
La buona notizia, tuttavia, è che sul grafico di forza relativa si sta disegnando da maggio 2019 un triangolo rialzista, figura che se completata (e basterebbe un ulteriore marginale rialzo delle azioni perché lo sia) getterebbe una seria ipoteca sul superamento anche dei massimi di ottobre 2018 del grafico di forza relativa. La base di questo triangolo ha grosso modo gli stessi riferimenti temporali della linea che si può disegnare sul grafico dei prezzi dai minimi di inizio giugno e che transita a 2.900 punti circa.
La violazione di questo supporto da parte dell’indice sarebbe un segnale negativo sia per l’indice in sé, sia per il grafico di forza relativa, dove probabilmente il triangolo rialzista verrebbe negato.