«Non serve alcuna ulteriore dimostrazione dell’assenza di qualsiasi mia titubanza nella lotta alle mafie: basta semplicemente scorrere ogni parola di ogni legge che ho portato all’approvazione in questi due anni, fino all’ultimo decreto legge che impone il coinvolgimento della Direzione Nazionale e delle Direzioni Distrettuali Antimafia sulle richieste di scarcerazione», si difende così in aula alla Camera il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede nel question time dedicato al “caso” Di Matteo e alla nomina mancata a guida del DAP (non senza brusii tra i banchi del Parlamento e qualche contestazioni dal Centrodestra). «Mi viene chiesto innanzitutto – ha spiegato il capodelegazione M5s al Governo – se e quali interferenze si siano manifestate sulla nomina di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel 2018. La risposta è molto semplice: nel giugno 2018 non vi fu alcuna interferenza diretta o indiretta, nella nomina del capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria». E così Bonafede annuncia la “retromarcia” sui boss mafiosi scarcerati nelle scorse settimane come esito delle stesse leggi di Bonafede: «E’ in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis».



Duro monito dall’Associazione Nazionale Magistrati viene intanto lanciato contro il pm Di Matteo (neo membro Csm) proprio per le parole usate a Non è l’Arena domenica scorsa: «è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura, valutando con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazioni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le Istituzioni. Ciò è richiesto, ancor di più a coloro che fanno parte di organi di garanzia costituzionale».



Il mistero per resta intatto visto che ancora oggi Di Matteo ha fatto intendere che «qualcuno» ha impedito quella nomina, escludendo però che possa aver preso quella decisione Bonafede: in uno scoop pubblicato da Augusto Minzolini sul Giornale, un dirigente M5s avrebbe spiegato «Quel no alla nomina di Di Matteo al Dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP) non è opera sua. Alfonso Bonafede di menate ne ha fatte tante, ma il no non è farina del suo sacco. È venuto da molto, molto in alto». (agg. di Niccolò Magnani)

IL CASO BONAFEDE-DI MATTEO

Nuovi aggiornamenti sul dossier boss mafiosi scarcerati, è arrivata la retromarcia di Alfonso Bonafede. Finito nella bufera per le scarcerazioni eccellenti a causa dell’emergenza coronavirusuna su tutte quella di Pasquale Zagaria – il ministro della Giustizia è al lavoro su una norma che consenta ai magistrati di sorveglianza di rivalutare le scarcerazione già disposte, considerato il mutato quadro dell’emergenza sanitaria.



Come evidenziano i colleghi de Il Messaggero, la maggior parte delle scarcerazioni è stata disposta per gravi patologie. Repubblica ha annunciato una riunione al ministero per dare seguito a quella norma, con il giudizio dell’esponente M5s a dir poco netto: «Rimando dentro tutti i boss». Nelle scorse ore è arrivata anche la conferma del leader grillino Vito Crimi: «So che sta lavorando anche a una misura per riportarli in carcere, una volta venute meno le condizioni per l’emergenza», le sue parole ai microfoni di Radio 24.

BOSS MAFIOSI SCARCERATI, BONAFEDE: “LI RIMETTO DENTRO”

Alfonso Bonafede al lavoro per mettere in atto il piano per riportare i boss mafiosi in carcere, nelle scorse ore è arrivato anche il plauso del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho: «Mi sembra un’ottima notizia, laddove ci siano spiragli almeno i più pericolosi rientrino in carcere. Si tratta di una ottima soluzione, è un bene che il ministro stia approfondendo»
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Intervenuto alla videoconferenza per le manifestazioni legate all’anniversario della strage di Capaci, de Raho ha aggiunto sui boss mafiosi scarcerati nonostante il 41 bis: «Devo dire che sicuramente, per quanto riguarda i detenuti al regime speciale di cui 41 bis, questo ci ha sorpreso perché evidentemente chi si trova in regime speciale è in una situazione nella quale non può avere rapporti con altri».