«Filmino tarocco»
; «un falso»; «una patacca»: ecco, per tutte queste “definizioni’ del famoso filmato del furgone bianco di Massimo Bossetti non v’è affatto diffamazione. Lo ha deciso il gip di Milano Fabrizio Felice, archiviando (come richiesto dal pm) il procedimento penale a carico di 16 giornalisti tra cui Maurizio Belpietro, Palo Liguori, Giovanni Minoli, Luca Telese, Nicola Porro, Alessandro Barbano, Peter Gomez, Alessandro Sallusti.
Non solo, la decisione del Tribunale di Milano è importante anche per un secondo punto nodale nel rapporto media & cronaca: quel video, secondo il gip, ha leso il diritto alla presunzione di innocenza dell’allora indagato muratore di Mapello, poi al termine del processo su tre gradi condannato all’ergastolo. Il video è quello noto che ha girato per mesi nei talk di cronaca su ogni canale tv: riguardava il furgone bianco di Massimo Bossetti che continuava a girare attorno alle palestra di Yara Gambirasio il giorno della scomparsa della povera 13enne. Il 1 novembre 2015 il giornalista allora di “Libero” Luca Telese scriveva così: «I video del furgone di Bossetti sono adattati per la stampa», riportando del dialogo in Aula tra il difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, e il comandante dei Ris di Parma Giampietro Lago. Proprio il militare ammise che il video dato alla stampa mesi prima, durante le indagini, «era stato concordato con la procura a fronte di pressanti e numerose richieste di chiarimenti e realizzato per esigenze di comunicazione. È stato dato alla stampa». Ora anche il gip di Milano dà pieno senso a quel parole, archiviando chi in quei giorni definì quel video un «tarocco» e un «falso»: si tratta, come nota intelligentemente Valentina Stella su “Il Dubbio”, di una sentenza «ante litteram del nuovo corso del rapporto tra forze dell’ordine, procure e media che si apre oggi, avendo il nostro Paese finalmente recepito la direttiva europea sulla presunzione di innocenza» (ieri in un decreto attuativo in Consiglio dei Ministri, ndr).
LA SENTENZA DEL GIP SUL VIDEO DI BOSSETTI
Telese aveva poi sottolineato proprio l’assurdità e il “dolo” nel voler presentare quel video dato in pasta alla stampa per giorni: «quel documento è stato confezionato dai Ris e diffuso ai media, ma incredibilmente non compare nel fascicolo processuale. E subito dopo ho scoperto un secondo elemento che non so come definire altrimenti: questo filmato, immaginifico e decisivo, è un falso. Un filmino tarocco». Venne infatti dimostrato, e oggi è agli atti, come il video del furgone di Bossetti venne tagliato e montato in più parti con altri frame di diversa provenienza, usato poi a scopo mediatico per creare ben prima del processo “il mostro” da sbattere in prima pagina senza avere poi alcuna rilevanza probatoria (tant’è che non fu poi inserito nel fascicolo). Con Telese si schierarono anche altri 15 giornalisti con diversi reportage in cui veniva mostrata la “fallacia” del video su Bossetti. Oggi scrive così l’ordinanza del gip di archiviazione, riportata dal “Dubbio”: «gli articoli trattavano con piglio fortemente critico, proprio il tema dell’affidabilità di tali modalità e verifiche, a cominciare dall’articolo in oggetto che ha definito il video ‘taroccato’: espressione poi ripresa dai successivi con sinonimi ed espressioni egualmente allusive, come ‘patacca’ e simili, nonché con toni di espressa riprovazione delle tecniche di formazione dello stesso e dei conseguenti limiti di affidabilità del suo contenuto». In definitiva, conclude l’ordinanza, resta ora chiaro – e si spera lo sia per davvero per il futuro – che «la cronaca e la critica giornalistica, nel caso di specie, non solo si sono inserite su un fatto obiettivo, di indubbio interesse pubblicistico e certamente non frutto di loro invenzione o di artefatto, ma siano state anche mosse dal fondamentale principio della presunzione di innocenza dell’imputato che, in base alla direttiva UE n. 343 del 2016, oggetto di recente recepimento da parte dell’Italia, deve proteggere le persone indagate o imputate in procedimenti penali da sovraesposizioni mediatiche deliberatamente volte a presentarli all’opinione pubblica come colpevoli prima dell’accertamento processuale definitivo». Soddisfatto della conclusione della vicenda lo stesso Telese che commenta così a “Il Dubbio”, «Esiste un grande problema che il ‘caso Lago’ pone a chi fa questo mestiere: il ‘processo mediatico’, costruito cioè con prove mediatiche che non sono vagliate da nessuno, cerca di prefigurare l’esito del processo penale».