Ai più attenti non sono certo sfuggiti i nostri recenti e continui commenti agli esiti di alcune aste di titoli di Stato italiano che, nello specifico, hanno interessato lo strumento finanziario domestico più semplice e tradizionalmente rincorso dai risparmiatori, a tal punto, di definire gli stessi investitori Bot people. Anche oggi, ancora insoddisfatto, lo scrivente pone nuovamente l’accento sull’offerta che si è conclusa ieri. Sempre lo stesso tema, sempre lo stesso titolo e sempre la medesima dinamica di rendimento: in rialzo, decisamente in netto rialzo che, dal punto di vista temporale ci riporta ai valori di assegnazione di oltre un decennio fa.



Era giugno 2012 quando, mestamente, l’asticella del “quanto mi rende” vedeva sfiorare la soglia dei quattro punti percentuali (3,972%). È vero, parliamo di altri tempi, ma soprattutto di una vera e propria “altra storia”. La Bce, infatti, si trovava a vigilare sull’andamento dei tassi di interesse giunti a quota 0,75% dal precedente 1%, oggi, invece, l’Istituto centrale e il suo intero Consiglio hanno l’arduo compito di gestire l’attuale e momentanea soglia del 3,00% che, a breve, vedrà l’ennesimo ritocco al rialzo.



A guardare oltre, anche il destino del Paese Italia era assai diverso e il termometro della febbre finanziaria (rif. spread) misurava in punti base la temperatura raggiunta dai titoli decennali del Bel Paese nei confronti di quelli della rivale e più in forma Germania: area 440 punti. Il tremore di allora, ancor più percepito perché fuori stagione, era davvero forte e la causa non era certamente quella riconducibile a un malessere fisico. Quest’ultimo (se ci fosse stato) avrebbe individuato la malattia (ormai degenerata) e non l’eventuale effetto a essa correlato. Oggi, diversamente a quel lontano ieri di oltre dieci anni fa, c’è una situazione completamente mutata con nuovi e inaspettati pazienti. L’Italia registra uno spread a 180 punti con i rendimenti dei propri titoli di Stato su massimi di periodo che si aggiornano con il trascorrere delle settimane, ma quest’ultimo elemento di ritrovata crescita vede coinvolti anche gli Stati a noi più vicini. Guardando a Francia e Germania, i loro rispettivi titoli di Stato caratterizzati da scadenze non superiori all’anno (il parallelo ai nostri Bot), riportano percentuali tutt’altro che modeste: il Btf francese nella sua ultima asta (lunedì) ha raggiunto il 3,358%, mentre l’analogo Bubill tedesco (scadenza 21 febbraio 2024) viene scambiato sul mercato a 97 riconoscendo, pertanto, una rendita superiore al 3%.



Guardando a casa nostra, l’asta del Bot (scadenza 14 marzo 2024) collocato ieri, ha visto riconoscere un rendimento medio ponderato finale del 3,613% per un controvalore assegnato pari a 6,5 miliardi di euro a fronte di una domanda di oltre 9 miliardi (rapporto di copertura dell’1,41).

Complessivamente, la raccolta di denaro messa in campo dallo Stato italiano ha incontrato un ottimo pubblico durante questa intera settimana che, a seguito dell’emissione del nuovo Btp Italia e di quest’ultimo salvadanaio tricolore, ha potuto beneficiare di un significativo ritorno per il proprio portafoglio. A tale beneficio corrisponde, come ovvio, l’altra faccia della medaglia che vedrà appesantite maggiormente le casse dello Stato, ma quest’ultimo problema non è solo italico e, anzi, possiamo addirittura dire che l’intero status del portafoglio italiano ne risentirà in maniera minore (perché già abituato) rispetto ad altri: la Germania, infatti, in apparente silenzio, pur non mostrando alcun cedimento emotivo, sta subendo la recente onda rialzista relativa all’aumento dei tassi di interesse.

Prendendo come riferimento il ritrovato anno 2012, e osservando l’andamento della curva dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi a due anni, è facilmente visibile come il costo in capo alle finanze teutoniche sia esponenzialmente lievitato: dai precedenti valori negativi (poiché inferiori allo zero) si è giunti agli oltre tre punti percentuali (3,28%) archiviati in queste ultime giornate.

È opportuno sottolineare come, nello stesso periodo, anche l’Italia ha ovviamente subito l’onta del caro-tassi, ma, in termini relativi, il corrispettivo pagato è in “lieve salita” (eufemismo voluto) con quello degli oltre dieci anni fa: oggi al 3,75% rispetto al 3,12% del 2012. Ebbene sì, noi italiani siamo già (e più) abituati rispetto ai pragmatici tedeschi e, talvolta, questa nostra indole rappresenta un fattore distintivo che, oggi, si identifica nella cosiddetta resilienza. Probabilmente, l’essere resilienti ci favorirà in ottica futura ,soprattutto se alcune precedenti stime in ambito economico appariranno poco percorribili: a gennaio, Banca d’Italia nel consueto Bollettino economico (rif. n. 01/2023) quantificava un rendimento medio del 3,4% quale dote (costo per lo Stato) per i Bot nel corso dell’intero anno 2023. Comprendendo l’asta Bot di ieri, da inizio anno l’ammontare medio finora raggiunto ci vede a quota 3,29%. Difficile sperare in un futuro ridimensionamento delle percentuali, come difficile sarà emettere altro debito a tassi minori. Resilienti sì, ma, con prudenza.

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