Uno scontro tra titani: “Bot vs Btp” chi vincerà? Non si tratta di una locandina cinematografica o di una gridata anteprima a un fantasioso match che vede protagonisti due insoliti contendenti. Semplicemente, trascorso un anno, poniamo l’accento su di un derby nostrano che, a margine, interessa un ampio parterre rappresentato da un pubblico molto attento ed esigente: i risparmiatori italiani.
La puntualizzazione odierna fa seguito alla notizia di 48 ore fa riconducibile al dato diffuso da Istat sul nuovo livello raggiunto dall’inflazione italiana che brevemente richiamiamo: «A ottobre, secondo le stime preliminari, l’inflazione evidenzia un netto calo, scendendo a +1,8%, dato che non si registrava da luglio 2021 (+1,9%)». Nel consueto Commento emerge come «la drastica discesa del tasso di inflazione si deve in gran parte all’andamento dei prezzi dei beni energetici, in decisa decelerazione tendenziale a causa dell’effetto statistico derivante dal confronto con ottobre 2022, quando si registrarono forti aumenti dei prezzi del comparto».
Guardando a ritroso, infatti, il balzo (non “balzello”) di un anno fa era stato da noi sottolineato in quanto, implicitamente, concretizzava un significativo impatto sull’intero meccanismo di calcolo alla base di ciascun indice rappresentativo dell’inflazione. Oggi, dopo 365 giorni, ci troviamo esattamente all’opposto con un drastico ribasso della componente energy: -32,7% per i beni energetici regolamentati e -17,7% per i non regolamentati (rif. variazioni tendenziali ottobre 2022 – ottobre 2023). Una sorta di ritorno al punto di partenza.
Nel frattempo, in questo intero arco temporale, sono stati molti gli accadimenti che hanno enfatizzato l’evoluzione del carovita domestico che, se paragonato a quello dei Paesi a noi più vicini, poneva l’Italia sul gradino più alto di un podio che, pur avendolo subito (come tutti), avremmo voluto evitare di occupare in veste di leader indiscusso. Il passato, ormai, è storia e ritornando al più attuale presente, il dato di Istat può aver fatto pensare soprattutto coloro che, immaginando di sfruttare questa costosa incertezza, hanno agito attraverso gli strumenti finanziari a loro disposizione: il rimando, come ovvio, è ai titoli di Stato italiani indicizzati all’inflazione.
Nella potenziale “cassetta degli attrezzi” di ogni risparmiatore, oltre alla consueta dote, si faceva ulteriore posto alla sempre più rinnovata tipologia di cosiddetti Btp Italia (la prima emissione risale al marzo 2012) e, nell’allora novembre 2022, una nuova offerta catalizzava l’attenzione rispetto ai più tradizionali collocamenti. Nello specifico, il neonato Btp Italia riportava una scadenza al 22 novembre 2028, un tasso cedolare minimo garantito (annuale) dell’1,60%, e una propria correlazione (cd. indicizzazione) al tasso dell’inflazione italiana («indice FOI, senza tabacchi – Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operati e impiegati, al netto dei tabacchi»). Da non dimenticare, inoltre, l’aggiunta del premio fedeltà (pari allo 0,8% del capitale investito) a favore di coloro che, aggiudicandosi il titolo, avrebbero poi detenuto l’investimento fino alla naturale scadenza.
Ricordati gli elementi distintivi, e consapevoli di un lieve disallineamento con le singole date, oggi, comunque, un primo bilancio può essere fatto partendo dal principale driver decisionale ovvero: la necessità di avere uno «strumento che protegge dall’inflazione». Con tale esplicito, e anticipato rimando all’intento di “protezione”, di fatto, non veniva indicata l’effettiva “garanzia” e, pertanto, fin da subito, l’investitore doveva essere consapevole che, a posteriori, il risultato conseguito poteva (eventualmente) disattendere le aspettative di totale copertura del carovita.
Con un occhio al mercato, il citato Btp Italia, dopo il consueto avvio a quota 100 ha prima beneficiato di un veloce approdo in area 101 per, poi, conseguire nuovi minimi in prossimità di 95,50 e, nei mesi a seguire, assistere a una rimonta limitata alla zona di prezzo 99. Conseguito questo importante e ultimo traguardo, dallo scorso giugno, ecco materializzata un’inarrestabile discesa fino agli attuali valori confinati a un livello di prezzo pari a 95. Nel corso di questa intera dinamica, però, il risparmiatore ha beneficiato di un ricco ammontare cedolare che non può essere sottovalutato: una parte relativa alle “cedole indicizzate” che hanno riconosciuto un 4,189% (a maggio) e riconosceranno un altro 0,913% (tra pochi giorni) con, inoltre, l’aggiunta del previsto tasso cedolare annuo pari all’1,60% (0,80% semestrale). Dotati di calcolatrice, l’intero tesoretto, capitalizza un complessivo 6,702% (lordo).
Bene. Molto bene. Senza nulla togliere, però, l’effettiva valorizzazione dell’investimento deve tener conto (anche) degli attuali corsi che, come indicato, riscontrano un prezzo a 95. Preso atto di questo, il precedente tesoretto, vede ridimensionato (drasticamente) il suo comunque auspicabile ammontare a un più residuale 1,702%. Meno di due punti percentuali. Male no, ma, sicuramente, non bene. Il motivo? Presto detto. Tralasciando le ovvie e scontate argomentazioni sul considerare l’investimento fino alla scadenza, le previsioni in ottica futura sull’andamento dell’inflazione e anche quanto di più empatico si possa considerare, a distanza di un anno (pressoché esatto), il numero o numerino è solo quello sopracitato: 1,702%.
Si poteva fare meglio? Decisamente sì, tornando alle origini, quelle semplici. Quelle di una volta. Sempre a novembre 2022, infatti, lo Stato italiano collocava uno dei tanti amati Bot con scadenza annuale (14 novembre 2023). Forse, nella sua meno accattivante veste priva di ogni improbabile fraintendimento quel rendimento del 2,69% poteva apparire sgraziato, fin troppo umile o magari sfrontato rispetto alla voglia di volere (di più). In questo nostro ambizioso e volutamente avventato confronto, i più attenti e preparati osservatori, metterebbero in conto al Btp un ulteriore margine dello 0,625% quale credito d’imposta conseguente all’ipotetica vendita. Corretto, ma, comunque non sufficiente. Il Bot è ancora “vincente”.
Questo nostro parallelismo “Bot vs Btp” (ribadiamo volutamente avventato) riporta alla memoria un classico accostamento esopico che, in questa nostra simulata corta distanza, conferma il successo della “tartaruga”. Lenta sì, costante sì, ma, profittevole.
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