Pensate che la strategia di avvelenamento dei pozzi messa in atto da Joe Biden con la sua decisione di via libera all’utilizzo delle armi a lungo raggio da parte dell’Ucraina si limiti a un preciso quadrante di interesse geopolitico? Ripensateci. Da qui all’Inauguration Day di fine gennaio, gli Usa si preparano a mettere in campo un intero armamentario di destabilizzazione. Ai massimi livelli. E a quel punto, le risposte asimmetriche potrebbero colpire chiunque si trovi sulla traiettoria Ovest-Est. In parole povere, il ritorno di fiamma investirà l’Europa.



Non a caso, il Wall Street Journal ieri pubblicava un articolo dal titolo che lasciava poco all’interpretazione: La Bce avverte riguardo minacce alla stabilità finanziaria derivanti da tariffe commerciali e possibile bolla dell’AI. Strano che nessuno ne parli in Europa. Oltreoceano, invece, sanno benissimo che la Cina reagirà. E persino il Giappone, stante un dato sui prezzi alla produzione e sull’output di macchinari industriali che parlano la lingua della stagflazione incombente.



Ora date un’occhiata a questo grafico, perché gran parte della decisione del colpo di coda di fine Amministrazione Biden nasce da questa dinamica.

Nel terzo trimestre di quest’anno, ovvero prima del voto presidenziale, Cina e Giappone hanno scaricato debito Usa con il badile. La prima ha visto i propri fondi operare un offload da 51,3 miliardi di dollari, il secondo di tutti i tempi per controvalore. Mentre il secondo ha invece segnato il suo record storico con 61,9 miliardi in securities legate allo stock pachidermico degli Stati Uniti. Detto fatto, ecco la spiegazione di quel repentino aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi dopo la decisione della Fed di metà settembre di tagliare i tassi di 50 punti base. Di fatto, Pechino e Tokyo hanno sabotato la mossa di Jerome Powell, tramutandola nel più classico dei boomerang. Il ritorno di fiamma, appunto.



E adesso? Adesso il rischio aumenta. Perché la Cina ha da tempo cominciato un deleverage sistemico e strutturale di Treasuries a favore dell’acquisto di oro fisico. Mentre il Giappone continua a dover fare i conti con uno cambio dollaro/yen che, a breve, potrebbe richiedere un nuovo intervento della Bank of Japan. Ma a fronte di un rialzo dei tassi che già lo scorso luglio si è a sua volta rivelato autolesionista, ecco che alleggerire ulteriormente le proprie detenzioni denominate in dollari potrebbe rivelarsi un’arma alternativa sempre meno rimandabile. E con un Treasury Usa dove non sarà più domiciliata una cliente decisamente permalosa come Janet Yellen. Unite il fatto che il neo-confermato Premier giapponese si è appena incontrato con Xi Jinping a latere di un vertice in Perù ed ecco che il quadro potrebbe tramutarsi in una dichiarazione di guerra a tutto tondo. Non solo fra due pesi massimi assoluti della detenzione estera (e quindi della sostenibilità) di debito Usa, ma anche del commercio e dell’export globale.

Ieri poi, il colpo a sensazione. L’autorità giudiziaria Usa ha messo sotto inchiesta per corruzione nel proprio Paese in relazione a presunte mazzette per 250 milioni di dollari, il miliardario indiano Gautam Adani, patron del mega-conglomerato Adani Group. Lo stesso gruppo che nel gennaio 2023 finì sotto attacco dei ribassisti globali dopo la pubblicazione del report di Hindenburg Research riguardo problemi di accountability e possibile malversazione di fondi. Insomma, un noto soggetto shortista statunitense mette nel mirino il primo gruppo industriale indiano. Apparve immediatamente un chiaro segnale al Governo di Nuova Delhi, all’epoca sempre più collaborativo e stretto alleato degli ingombranti colleghi dei Brics, Russia e Cina.

Ora date un’occhiata a questo grafico: casualmente, la magistratura Usa ha deciso di lanciare la sua Tangentopoli globale subito dopo che il mercato azionario indiano ha patito nel mese di ottobre la peggior fuga di capitali da quando vengono tracciate le serie storiche. Come dire, una volta rimpatriati i dollari statunitensi che hanno sfruttato interi trimestri di rally equity indiano basato su una bolla senza precedenti, parte la crociata moralizzatrice. Come nel gennaio 2023. E a un solo mese da quel meeting dei Brics in Russia che ha visto l’India protagonista entusiasta del salto di qualità nelle iniziative di smarcamento dal ruolo benchmark del dollaro.

Gli Stati Uniti, da qui a fine gennaio, non faranno prigionieri. E saranno a dir poco spietati nella richiesta di prove d’amore da parte dei loro alleati. Emmanuel Macron, non a caso, è immediatamente salito con entusiasmo sul carro bellicista di Joe Biden. Esattamente come il Regno Unito. La Germania, invece, nicchia ancora nell’invio di Taurus in Ucraina. Casualmente, mercoledì Ford ha annunciato 4.000 tagli occupazionali nei suoi stabilimenti in Europa entro il 2027. Nemmeno a dirlo, la gran parte in Germania, già alle prese con la disastrosa situazione di Volkswagen e con una campagna elettorale a dir poco delicata e spartiacque.

Attenzione, è guerra nella guerra. Qualcuno avvisi palazzo Chigi.

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