Un colossale deposito a cielo aperto. L’America di Donald Trump sta diventando questo. Apparentemente senza che ai media la cosa generi alcun tipo di interesse. Il perché? Perché tutto sta avvenendo in modalità front-load, anticipatoria delle mille emergenze che, queste sì, i medesimi media amplificano quotidianamente, alternandole per tenere alta l’attenzione.
Si compra oro per anticipare balzi inflazionistici da tariffe e dazi, ovviamente. Si compra argento perché, alla fine, sta diventando difficile giustificare certi numeri legati alla domanda nei conti dalle varie Nvidia e contestualmente spiegare come sia possibile un prezzo perennemente sotto i 40 dollari l’oncia, quando gli altri tre metalli preziosi viaggiano in tripla cifra. E, soprattutto, si compra fisico. E il prezzo spot sale. Record dopo record. E adesso, ecco che sul palcoscenico di un mondo che apparentemente pare aver abbandonato la tipografia Lo Turco delle Banche centrali in favore delle miniere, sbarca Mr. Copper. Il rame.
Stando a informazioni raccolte da Bloomberg e non smentite dalle autorità Usa, nelle prossime settimane i porti statunitensi si apprestano a ricevere tra le 100.000 e le 150.000 tonnellate metriche di rame raffinato. Se tutto quel materiale dovesse arrivare nel solo mese di aprile, sarebbe battuto il precedente record stabilito dalle 136.951 tonnellate del gennaio 2022. E stante un consumo interno Usa che è il doppio della produzione, occorre importare. Da Canada e Messico, ovviamente. Ma ora anche da Cile e Perù.
E non basta. There’s a broader reshaping of supply chains that is potentially on the cards, ha dichiarato l’analista di Citigroup, Tom Mulqueen. Ovvero, carichi per l’Asia – dove la Cina pesa da sola per il 40% di tutto il rame raffinato – ridirezionati verso il mercato statunitense. O si tratta solo di arbitraggio?
In effetti, il differenziale di prezzo fra Comex e Lme è salito a 1.200 dollari a tonnellata nella giornata di giovedì, come mostra il grafico, avvicinandosi al record di toccato a metà febbraio.
E per quanto un premio del 12% faccia decisamente gola e spinga verso una spirale auto-alimentante, occorre a mio avviso porsi una domanda. Apparentemente folle, lo ammetto. Ovvero, quando davvero entreranno in vigore quelle tariffe? Ma soprattutto, davvero entreranno in vigore o siamo nel pieno di una rivisitazione della falsa guerra commerciale con la Cina della prima Amministrazione Trump, quella che – a conti fatti – contò più prodotti esentati che penalizzati, ma che generò strategiche cortine fumogene a colpi di proclami e rinvii?
Attenzione, però. Stavolta la differenza rischia di essere sostanziale. Perché si stanno muovendo tonnellate di materiale fisico e i prezzi spot stanno recependo la domanda nelle loro dinamiche. Un commodity-backed order sta nascendo, un reset bipolare fra Usa e Cina basato su hard assets a garanzie di debiti, ma anche di settori chiave come chip, energia e AI? Insomma, i Governi nazionali cominciano a muovere le pedine. Tedeschi compresi, se ancora non lo avete capito. Ma date soprattutto un’occhiata a questa immagine, la trovate che campeggia dall’alba di ieri sul sito della Casa Bianca.
Perché dopo oltre 100 giorni sostanzialmente dedicati a chiacchiere, provocazioni e dissimulazioni come la Riserva strategica in cryptovalute, Donald Trump ha firmato il primo, vero ordine esecutivo che conta. Non a caso, lo ha fatto senza alcuna pubblicità, senza fanfare e senza ridicole foto nello Studio Ovale. L’America sa che occorre ridurre il prima possibile la sua dipendenza estera da materiali critici per i settori chiave del futuro.
E mentre gioca a tira e molla con l’Ucraina per le terre rare, di fatto variabile che si presenta con un’incidenza pressoché ridicola sulla domanda globale reale e si pone come mero atto di leverage diplomatico, il Presidente lancia una campagna di deregulation e partnership pubblico-privato senza precedenti nel settore minerario. Oro in testa.
Alla faccia di tutte le Cop del mondo, gli Usa si preparano a trivellare e scavare come non ci fosse un domani. Capito perché tanto interesse per la Groenlandia o pensavate che a Washington amino gli orsi polari come Licia Colò? Nel frattempo, fanno incetta di tutto il materiale fisico che si trovi a disposizione sul mercato. E se per l’oro ormai appare impossibile proseguire con la manipolazione in grande stile, per ora i futures al ribasso comprati con il badile dalle bullion banks sembrano riuscire a contenere il breakout dell’argento sopra quota 40 dollari. Per ora, però.
En passant, a fare data al 1 marzo scorso, la Russia ha visto le sue riserve auree salire al nuovo controvalore record di 217,4 miliardi di dollari. Il 34,4% del totale di riserve estere di Mosca ora è denominato in oro. Fisico. Barre. Lingotti. E tanti saluti alle sanzioni e agli assets congelati, poiché nessuno – oggi come oggi – è così pazzo da intestarsi il precedente internazionale della confisca di oro governativo. Nessuno. Nel frattempo, l’Europa gioca a ReArm per pompare un Pil asfissiato dal suo stesso Green Deal. Quando si ha a che fare con del talento, occorre riconoscerlo. Anche se si tratta sostanzialmente del talento di Tafazzi.
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