Tornano al centro delle cronache le vicende riguardanti i carabinieri della caserma Levante di Piacenza, i militari arrestati e ora a processo con le gravissime accuse di torture, traffico di droga e altri reati. Il Corriere della Sera ha portato alla luce una vicenda risalente a quasi 12 anni fa, al 18 maggio del 2009, denunciata dal papà di un ragazzo, un ex ufficiale dei carabinieri, che non ha mai creduto al racconto del figlio se non fino a quando appunto sono emersi nell’ultimo anno gli agghiaccianti fatti con protagonisti i carabinieri di Levante.



Il pomeriggio di quel 18 maggio tre giovani a bordo di una Citroen C3 stavano passando di fronte all’università cattolica di Piacenza quando si sono lasciati andare ad un gestaccio di liberazione; in quel momento passava di lì una gazzella dei carabinieri, che forse pensando che i giovani ce l’avessero con loro hanno raggiunto i ragazzi e li hanno fermati. «Ci fu un contatto spalla a spalla tra me e Cappellano (Salvatore, arrestato, ndr) che subito mi tirò un pugno dicendomi “Levati testa di c…”», ha raccontato Gianluca D’Alessio, uno dei tre giovani, alla Guardia di finanza, così come si legge sul Corriere della Sera in data 12 aprile.



BOTTE E ORRIRE NELLA CASERMA DEI CARABINIERI DI PIACENZA: POSSONO CHIEDERE LA REVISIONE DEL PROCESSO

I tre vengono quindi portati in caserma «Ci fecero sedere a terra ammanettati», racconta ancora D’Alessio, che viene fatto spogliare «completamente nudo», mentre un altro ragazzo, Daniele Della Noce, viene portato in un’altra stanza da cui giungeranno «solo colpi di botte e grida di dolore», riporta ancora il Corriere.it. Nel racconto emerge anche che Della Noce viene scaraventato contro la porta, scardinandola, poi viene «riportato all’interno trascinato per i piedi». D’Alessio prova a sedare la rabbia dei carabinieri dicendo di essere «figlio di un capitano dei carabinieri», ma in risposta riceve anche lui delle botte, e Cappellano non smette di picchiare anche quando Gianluca gli urla che gli stanno rompendo un braccio «Per me puoi anche morire». I tre, raccontano sempre i giovani, sono stati lasciati ammanettati e senza acqua, fino a che non vennero trasferiti presso la caserma di via Beverora dove invece vennero trattati «con gentilezza». Il giorno dopo i ragazzi vengono prelevati per il fotosegnalamento e Cappellano ha lasciato D’Alessio appeso per le manette al ramo di un albero «Era più alto di me, costringendomi a rimanere in punta di piedi». I giovani furono anche processati e condannati per violenza e minaccia a pubblico ufficiale: l’eventuale reato nei loro confronti è caduto in prescrizione ma il trio potrà ora chiedere la revisione del processo.

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