L’adesione preventiva al Governo guidato da Draghi, motivata obtorto collo dalla presa d’atto del fallimento dei due governi Conte della nuova legislatura, viene accompagnata in modo singolare da un patetico tentativo di diverse forze politiche di tirare la giacchetta al presidente del Consiglio incaricato sui confini delle alleanze di governo e sui contenuti del programma del nascente esecutivo.
La contraddizione è del tutto comprensibile data l’esigenza di spiegare il repentino mutamento degli orientamenti politici e una sostanziale sconfessione dei pronunciamenti perentori di buona parte dei leader politici di portata tale da non trovare riscontri analoghi nella storia della Repubblica. Non si vuole comprendere che l’avvento di Draghi è la presa d’atto del fallimento di una stagione politica che ha cercato di spacciare come novità rivoluzionarie la rimessa in campo dei provvedimenti demagogici e dei comportamenti che sono all’origine della mancata modernizzazione del nostro Paese.
Grazie a Dio, questa stagione è destinata ad andare in soffitta. Prima se ne prende atto, meglio è. Il tema da declinare nel nuovo programma politico è diventato quello di come utilizzare al meglio le risorse disponibili finanziarie e umane per accelerare l’uscita dalla crisi sanitaria ed economica. Condizioni indispensabili per affrontare quella sociale (e non viceversa, come purtroppo si continua a teorizzare). Quindi: visione di lungo periodo, analisi corrette delle condizioni di partenza, obiettivi quantificati, capacità di mobilitare gli attori economici e sociali in modo costruttivo e contributivo, verifica dei risultati. Non le bandierine poste a casaccio dei redditi di cittadinanza, quota 100, bonus e prebende, elargiti da uno Stato paternalista, gestore e distributore di risorse. L’asticella si alza e, in parallelo si spera, anche la qualità di un dibattito politico che utilizza a man bassa le coreografie del passato e la comunicazione disinvolta per compensare il vuoto dei contenuti.
Cambio di fase, reset delle politiche e delle alleanze. Ed è su questo passaggio che si devono costruire i programmi e le alleanze in ambito nazionale ed europeo. Ma tutto questo rappresenta una sorta di cambiale per lo stesso Governo nascente. La condizione ambientale è favorevole: servono un piano sanitario efficace per le vaccinazioni e un Recovery plan credibile. Quest’ultimo per sua natura, e per gli impegni che dovranno essere sottoscritti con le istituzioni dell’Ue, destinato a vincolare i comportamenti delle istituzioni e degli attori economici per diversi anni.
Ma il Governo Draghi eredita una selva di provvedimenti economici e di sostegno al reddito di varia natura, in buona parte inapplicati, destinati a produrre effetti di trascinamento pesanti. E una macchina amministrativa degradata e palesemente non in grado di gestire i volumi delle risorse affidate all’Italia con i fondi dell’Ue.
Gli incentivi agli investimenti e all’occupazione funzionano se si manifestano rapidamente le condizioni di una crescita economica. Nel breve periodo questa condizione dipende quasi esclusivamente dal successo del piano delle vaccinazioni. I sussidi, anche quelli necessari per resistere alla pandemia, generano effetti di dipendenza. Se prolungati nel tempo finiscono per distorcere l’uso delle risorse e disincentivare la creazione e la ricerca di nuove opportunità di lavoro.
Tra difendere gli apparati produttivi dalle conseguenze della pandemia Covid e impostare una politica economica capace di distinguere il debito pubblico buono da quello cattivo (tanto per rammentare i due pilastri illustrati nelle recenti uscite pubbliche di Mario Draghi), corre un filo sottile.
Servirà uno sforzo di fantasia non indifferente e un’inedita capacità di mobilitazione degli attori istituzionali e privati. Condizioni che non possono essere disgiunte dalla necessità di rafforzare il clima di fiducia collettivo, e una forte spinta verso il ricambio generazionale e della classe dirigente. Non a caso gli investimenti per rafforzare le infrastrutture collettive, migliorare la competenze delle risorse umane e accelerare il ricambio generazionale vengono ripetutamente citati negli interventi dell’ex Presidente della Bce come la condizione per aprire un nuovo ciclo economico e sociale.
I prossimi tre mesi, quelli da dedicare alla definizione del programma di utilizzo delle risorse Ue, al rifacimento degli interventi di sostegno all’economia e al superamento del blocco dei licenziamenti, saranno decisivi per comprendere se queste premesse hanno una realistica possibilità di influenzare gli avvenimenti futuri.
Ovvero se al contrario il tentativo di Mario Draghi possa essere assimilato a una specie di “devotio” dei Consoli dell’antica Roma, che per ribaltare l’esito di una battaglia quasi persa, si gettavano allo sbaraglio al costo di sacrificare la propria vita.
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