Oggi 8 febbraio, il Presidente incaricato Prof. Mario Draghi inizia le consultazioni con le parti sociali, dopo avere tirato le somme, nel suo studio in Banca d’Italia (ne ha titolo in quanto ex-Governatore), di quelle, fatte negli ultimi giorni della settimana scorsa, con le forze politiche rappresentate in Parlamento. Prima della formazione del Governo, e della proposta al Presidente della Repubblica della squadra di Ministri, occorrerà aspettare almeno sino alla fine di questa settimana.
Il Presidente incaricato ha ricevuto un vasto sostegno dalle delegazioni dei partiti – una sola si è espressa a favore di opposizione o astensione. Alcune, però, hanno insistito che i loro “temi” devono essere prioritari e hanno anche minacciato, in modo più o meno velato, veti nei confronti di eventuali futuri partner di Governo. Forse non è chiaro a tutti – come dovrebbe esserlo – che il presidente della Repubblica, prima di offrire l’incarico al Prof. Draghi, ha indicato quali devono essere le linee del programma di Governo: a) combattere la pandemia; b) evitare che la crisi economica diventi una crisi sociale; c) mettere a punto un efficace Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In sintesi, ciò significa che sforzi maggiori e più incisivi devono essere fatti contro la pandemia (e, quindi, alcuni volti spesso in televisione cambieranno) e che per uscire dalla crisi economica e prevenirne una sociale, il Pnrr – di cui questa testata ha commentato le varie stesure – deve diventare quello che in gergo economico viene chiamato un “programma di riassetto strutturale”.
Di tale “programmi” Mario Draghi ha grande esperienza, in primo luogo perché, nei sei anni passati alla Banca mondiale dal 1984 al 1990, ha contribuito alla loro definizione concettuale e operativa. Proposti dal “rapporto Brandt” del 1980, nella prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso, tali programmi vennero affinati e attuati prima dalla Banca mondiale e poi dal Fondo monetario internazionale, proprio nel periodo in cui Draghi era a Washington. Il Next Generation Eu e, nel suo ambito, la Resilience and Recovery Facility hanno a loro modello il finanziamento di 2programmi di riassetto strutturale”. La Commissione indipendente sullo Sviluppo internazionale, presieduta dall’ex Cancelliere tedesco Willy Brandt, aveva concluso che non bastava finanziare progetti, per quanto ben concepiti, per promuovere la crescita; ma che, in molti Paesi, fossero necessarie profonde “riforme strutturali” per rimuovere ostacoli alla produttività. Propose che, quindi, le istituzioni finanziarie internazionali passassero dal supporto a singoli progetti al finanziamento di “riforme”, proprio come previsto nel Next Generation Eu.
Draghi, che era andato in cattedra principalmente grazie a uno studio innovativo sulle “aspettative razionali”, si immerse nel lavoro sul “riassetto strutturale” sia metodologicamente, sia operativamente, attività che continuò nella collaborazione al rapporto per l’assemblea generale delle Nazioni Unite sul debito dei Paesi in via di sviluppo, affidato dal Segretario generale dell’Onu all’ex presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi.
Portò il “riassetto strutturale” anche alla Banca centrale europea. Il whatever it takes per impedire una crisi dell’unione monetaria ha implicato la creazione di uno strumento – le Outright monetary transactions – che prevede finanziamenti pressoché illimitati, ma strettamente vigilati, a Paesi che attuano appunto programmi “di riassetto strutturale” delle loro economie, programmi concordati con le autorità europee. Tali programmi sono a medio termine, proprio come previsto ora dal Next Generation Eu, e comportano un’oculata distribuzione dei costi e dei benefici tra i vari strati sociali, aspetto di cui Draghi ha grande dimestichezza.
L’esperienza insegna che gli ostacoli alla formulazione – e ancor più alla attuazione di tali “programmi” – più che tecnici sono politici. Per questo motivo, il presidente del Consiglio incaricato necessita, per realizzare il suo compito, di un vasto supporto da tutto l’arco politico e del sostegno delle parti sociali. Il Governo che ne uscirà sarà, senza dubbio, un “Governo politico”. Anzi, così “politico” che potrebbe essere appropriato includere nell’Esecutivo i leader delle forze politiche come fece Craxi il cui Governo doveva percorrere, in politica economica, un sentiero stretto per abbattere un’inflazione a due cifre senza arrestare la crescita.
I “programmi di riassetto strutturale” sono finalizzati all’aumento della produttività, della produzione, del valore aggiunto, dell’occupazione e anche a una migliore distribuzione del reddito. Loro caratteristiche sono; a) rigore nelle politiche di bilancio per contenere disavanzo pubblico; b) ri-orientamento delle priorità della spesa pubblica verso comparti tali da offrire, al tempo stesso, rendimenti economici elevati e il potenziale di migliorare la distribuzione dei redditi (quali l’infrastruttura, l’istruzione e la sanità); c) riforma tributaria (per ridurre le aliquote marginali e ampliare, in parallelo, la base imponibile); d) riforma della giustizia per rendere procedimenti più veloci e dare a tutti maggiori certezze ; e) modernizzazione dell’istruzione; f) maggiore attenzione alle politiche ambientali e alle implicazioni ambientali di politiche in tutti i settori.
Ciò implica, inevitabilmente, una maggiore sintonia con le forze politiche che hanno la loro base elettorale nelle categorie produttive e ne esprimono le istanze. Ciò vuole anche dire che i movimenti politici più legati a forme di assistenzialismo dovranno imboccare bocconi amari se vogliono fare parte della maggioranza che sostiene il Governo oppure scegliere di stare nei banchi dell’opposizione. Si verificherà probabilmente un’inevitabile selezione naturale.
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