Che cosa c’entra il Brasile con l’Ucraina? E magari anche con l’Iran? Apparentemente niente. Eppure le vicende di questi tre Paesi sono un’occasione straordinaria di richiamo per noi cristiani.

In Ucraina due popoli di antica tradizione cristiana, sopravvissuta dopo 70 anni di ateismo di stato, stanno vivendo un’esperienza terribile dove la fede è messa duramente alla prova, anche perché la stessa Chiesa, o meglio, le stesse Chiese sembrano sopraffatte dalla situazione di odio generalizzato.



In Brasile sembra proprio che la società si sia divisa politicamente in due parti, ostinatamente contrapposte, e per di più condizionate da opposti estremismi.

Da una parte si è arrivati ad occupare e vandalizzare il Parlamento, dall’altra qualcuno aveva già pensato di far fuori Bolsonaro. Anzi ci era quasi riuscito, senza che la cosa avesse destato un grande scalpore nel mondo superdemocratico.



Allora dove ritrovare l’unità del Paese? Solo attorno alla nazionale carioca (che, tra l’altro, ai Mondiali non è neanche andata tanto bene)?

Non è che il Brasile è ancora un paese un po’ cattolico, nonostante il diffondersi delle sette evangeliche e il perdurare della macumba? E la Chiesa, quella della scelta preferenziale per i poveri, è disposta ad intervenire per mettere un po’ di pace cristiana tra i poveri di sinistra e quelli di destra? Sì, perché anche lì ci sono certi poveri che delusi dalla sinistra si sono dati in omaggio alla destra.

E l’Iran? Lì i cristiani sono veramente pochi. Su una popolazione di 83.865.000 abitanti (persiano più, persiano meno) il 97,8% si dichiara musulmano, almeno ufficialmente. Infatti secondo un gruppo di ricerca dei Paesi Bassi non più del 32% degli intervistati si dichiara musulmano credente. Gli altri lo sono solo per tradizione e non possono certo dire pubblicamente che hanno perso la fede, perché l’abiura potrebbe costare loro molto caro.



Neanche possono manifestarsi pubblicamente i sempre più numerosi convertiti al cristianesimo che sono costretti a trovarsi nel segreto delle cosiddette “chiese domestiche”, l’attuale versione iraniana delle catacombe.

E così cristiani e atei (anch’essi paradossalmente in aumento dopo la Rivoluzione islamica) si trovano incredibilmente insieme nella lotta per la libertà di coscienza.

Quella lotta di cui anche qui si fa fatica a parlare, riducendo la protesta attuale alla questione femminile, che è solo una parte, sia pure molto importante, della libertà di coscienza.

Anche lì la piccola Chiesa, fatta non solo da stranieri, ma da tempo anche da qualche migliaio di iraniani, che secondo la Costituzione (art. 13) sembra aver diritto ad uno dei cinque posti riservati a cristiani, ebrei e ultimi seguaci di Zoroastro, è chiamata alla sua difficile missione di difendere un posto non solo per sé, ma anche per gli altri, per tutti.

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