Picchiava la moglie, ma per il pm il cittadino bengalese va assolto «perché è un fatto culturale, non di coscienza». Questo il senso delle parole usate dal pubblico ministero di Brescia nel caso di una donna di 27 anni, originaria del Bangladesh e cittadina italiana, madre di due figlie, vittima di presunti maltrattamenti fisici e psicologici da parte del marito, poi diventato ex. La vicenda, ricostruita dal Giornale di Brescia, ha inizio nel 2019, quando la donna ha denunciato «dopo anni di urla, insulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente». Infatti, non era libera di uscire, era costretta a indossare abiti islamici.
L’uomo è un cugino bengalese a cui la donna sarebbe stata «venduta per 5mila euro» per un matrimonio combinato che è stato celebrato in patria, alla morte del padre. Per il pm, però, il comportamento dell’uomo sarebbe dovuto al contesto culturale bengalese. «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima», ha dichiarato il pm di Brescia nella richiesta di assoluzione dell’uomo.
“MOGLIE AVEVA ACCETTATO QUELLA CULTURA”
Il pm, nelle conclusioni depositate in vista della conclusione del processo, precisa anche che «la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine». La sentenza è prevista tra qualche settimana, ad ottobre, secondo Repubblica. La procura sin da subito aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, a cui si è opposto il gip, ordinando l’imputazione coatta per l’ex marito alla luce del fatto che «sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti dell’ex marito». Invece, per il pm i presunti maltrattamenti denunciati dalla donna rientrerebbero nei reati culturalmente orientati, cioè quei comportamenti sanzionati dalle leggi italiane, ma tollerati secondo le tradizioni (o addirittura le norme) di altri Paesi.
Le condotte dell’uomo si sono rivelate intollerabili per la donna «proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l’ha condotta ad interrompere il matrimonio», ha aggiunto il pm nella richiesta di assoluzione per l’imputato. La donna, che vive a Brescia da quando aveva quattro anni, non ha sopportato di essere stata costretta a lasciare gli studi alle superiori e di essere segregata in casa per anni, riporta il Giornale di Brescia. «La cultura di origine non può essere una scusa. Sono stata trattata da schiava», il suo commento.