Il Regno Unito non finisce di stupire: Boris Johnson, nel mirino delle critiche per i lavori di ristrutturazione in Downing Street addebitati all’erario, chiude la campagna elettorale in Scozia dove s’annuncia la vittoria degli indipendentisti che vogliono tornare nell’Ue mandando la flotta per rompere l’assedio dei pescherecci francesi che rivendicano il diritto di pescare al largo delle isole britanniche. E si è rischiata la replica di Trafalgar perché Emmanuel Macron, inorgoglito dall’anniversario della scomparsa di Napoleone, non ha voluto esser da meno.



In questa bagarre, però, l’economia di Sua Maestà va a gonfie vele. L’indice FTSE 100 della Borsa Uk ha toccato a 7.100 punti i nuovi massimi degli ultimi 14 mesi estendendo la performance da inizio anno intorno a +13,30 e superando la performance media della zona euro, indice Stoxx globale +10,90%. Secondo la Bank of England, l’economia del Regno Unito registrerà nel 2021 la crescita più rapida in oltre 70 anni. L’economia dovrebbe espandersi del +7,25% quest’anno, con una spesa pubblica extra che contribuirà a limitare la perdita di posti di lavoro.



A che si deve questo rally? In buona parte alla risposta, rapida ed efficiente, al Covid-19 grazie alla gestione della campagna vaccinale. Il caso inglese conferma la sensazione che, nel 2021, nessun altro fattore abbia avuto un peso politico paragonabile a quello esercitato dai vaccini. Non solo sull’economia, ma ancor più negli equilibri della società e dei rapporti tra le nazioni. È probabile che il Covid -19 sia stato decisivo nella sconfitta elettorale di Donald Trump così come sta mettendo in crisi sia Narendra Modi, il nazionalista hindu, che Bolsonaro, il populista brasiliano. Poteva rivelarsi, e lo è stato per un certo periodo, un’arma forte per la Cina di Xi Jinping e per Putin, che con il suo Sputnik voleva risvegliare l’orgoglio sovietico per le grandi missioni spaziali. È diventato, quasi a sorpresa, l’argomento forte del ritorno dell’America, dopo che il Presidente Biden ha ribaltato non solo la filosofia di Trump, ma anche la logica della protezione della proprietà intellettuale, mettendo in discussione i brevetti sui vaccini sotto la pressione di Paesi come India e Sud Africa, investiti dalla pandemia che minaccia così di azzerare i progressi realizzati nei Paesi più ricchi.



La decisione di Biden porta con sé molti pro e contro. Ma non può essere capita al di fuori della logica che l’Amministrazione Usa ha messo al centro della difesa della sua leadership nei confronti della Cina. Ancor prima di confrontarsi con gli alleati europei, gli sherpa di Biden del resto hanno ingaggiato un duello a distanza con la Cina coinvolgendo gli alleati nello scacchiere Indo-Pacifico, il più importante: Giappone nella difesa di Taiwan, l’isola dei chips oggi assai più strategica dei giacimenti di greggio sauditi; Australia, che ha ricusato l’offerta cinese, nell’ambito della Via della Seta; India, da sempre il rivale storico del colosso cinese, che, travolto dalla pandemia, ha lanciato un drammatico SOS sui brevetti dei vaccini.

È politica e non umanitaria la ragione che ha spinto Biden a schierarsi per uno strappo assai sensibile sul piano ideologico quanto modesto sul piano degli effetti concreti. I brevetti, infatti, sono solo uno dei colli di bottiglia che rendono difficile esportare la produzione dei vaccini se non in tempi lunghi, quelli che servono per produrre un vaccino come quello di Pfizer Biontech che richiede 280 componenti da 86 fornitori in 19 Paesi. La catena di produzione e fornitura dei vaccini, insomma, ha tali e tante criticità nei processi di produzione che la sospensione dei brevetti non avrà effetti, almeno rispetto all’eventuale alternativa di licenze co-gestite nei Paesi bisognosi dai titolari dei brevetti.

In cambio, con questa operazione Biden mette in discussione alcuni principi finora inviolabili per il capitalismo Usa. Innanzitutto si introduce un principio di incertezza che non farà bene agli investimenti in ricerca finora tutelati in sommo grado. Che succederà la prossima volta, se salta il principio del profitto? Per alti che siano i profitti, il rischio è di buttare all’aria una cooperazione pubblico/privato che sta dando buoni frutti. Ancor più grave, si facilita l’approdo dei concorrenti cinesi e russi (ma anche europei) a un filone di ricerca, quello dei ritrovati RNA messaggero, che promette applicazioni rivoluzionarie assai al di là del vaccino sul Covid.

Entrambi i fronti possono contare su argomenti forti. Di qui la previsione di un negoziato difficile e impegnativo in cui, dietro una questione vitale per la ripresa, si gioca una partita chiave per il futuro in cui giocherà un ruolo decisivo il denaro, ma non solo. La speranza è che la moderna guerra di religione sui principi si concluda con un compromesso migliore dell’attuale status quo. Anche la pandemia, a lungo andare, può avere effetti virtuosi.

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