Le negoziazioni per trovare un accordo dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue ieri non sembravano particolarmente promettenti. Sinceramente non si comprende come la Gran Bretagna possa accettare le proposte dell’Unione Europea senza compromettere la propria indipendenza economica e fiscale, perché in tutte le proposte sarebbe sostanzialmente soggetta alle decisioni prese a Bruxelles per un periodo indefinito. Questa però non è la questione che vorremmo sottolineare.



Ogni analisi dei costi e dei benefici di un’uscita senza accordo parte da un presupposto non dimostrato. Il presupposto non dimostrato è questo: tutti i membri dell’Unione sotto la bandiera dell’Europa saranno coesi nel confronto/scontro con la Gran Bretagna. In questo caso Londra si dovrebbe confrontare con il più grande blocco commerciale globale e patirne le conseguenze sotto forma di sconvolgimenti nella catena distributiva, rincaro dei generi alimentari, penuria di medicinali e via discorrendo in una narrazione che, a queste latitudini, inevitabilmente risente, in un certo senso, di un clima di propaganda; e ovviamente l’uguale e contrario a Londra.



L’assunto non dimostrato è la coesione dei Paesi membri dopo una rottura senza accordo. Tutto invece indurrebbe a pensare che soprattutto in caso di no-deal diversi Paesi membri tenterebbero di smarcarsi per evitare di perdere un partner che nei confronti dell’Unione è un importatore netto e che ha un centro finanziario e di capitali che non ha paragoni nell’Europa continentale. Esattamente come per le emissioni di CO2, per il Mes e per tantissime altre questioni, si pensi all’immigrazione, la coesione dei membri dell’Unione Europea è solo una speranza. Nel caso della Gran Bretagna e dell’uscita dall’Unione, gli incentivi degli Stati a perseguire obiettivi “nazionali” sarebbero molto superiori date le implicazioni geopolitiche; la Gran Bretagna esiste da molto prima dell’Unione Europea e ha una posizione nella Nato molto più “privilegiata” di qualsiasi altro membro europeo.

Le divisioni tra i Paesi membri non apparirebbero né subito, né a Bruxelles; eppure quando arriverebbe il momento per i singoli Stati di ratificare i termini, magari punitivi, nei confronti della Gran Bretagna apparirebbero in modo evidente, smascherando l’unità effettiva dell’Unione. In tempi di Guerra fredda, e forse anche calda, ognuno si farebbe i conti su cosa conviene scegliere.

La Gran Bretagna non deve far altro che cominciare a ignorare la burocrazia di Bruxelles e trattare nelle singole capitali europee con i singoli Paesi membri chiarendo quali sarebbero i termini e gli interessi nazionali dopo la rottura. Ricordiamo che l’Unione Europea non ha una Costituzione, non ha un esercito e ha un Parlamento ridotto a funzione simbolica e che nulla di tutto questo cambierà in un orizzonte temporale compatibile con l’accelerazione che i dossier internazionali stanno avendo.

La “Brexit” non è un detonatore dell’economia inglese, ma è quello che è sempre stata: un detonatore dell’Ue o, nella migliore delle ipotesi, un suo netto indebolimento. Cosa ne sarebbe della Grecia, per dire, oggi alle prese con l’espansionismo turco o dell’Italia, lavorando di fantasia, con la Turchia a un tiro di schioppo senza la Nato? Questa è la questione. Rimane sullo sfondo la presidenza Biden per cui gli europei, in buona compagnia con la Cina, hanno fatto un tifo sfegatato. Ma nessuno in America, o in Russia, si fa alcuna illusione su cosa sia e soprattutto non sia l’Unione Europea e su quello che invece porta al tavolo la Gran Bretagna con le sue alleanze. L’Ue è una non entità geopolitica in una fase in cui la “geopolitica” conta infinitamente di più che negli ultimi 30 anni.