A neanche un mese dalle elezioni politiche inglesi, il ministro dell’Economia tedesco ha rilasciato un intervista a Der Spiegel in cui ha trovato parole di apprezzamento per il neo primo ministro inglese Boris Johnson che “non è di estrema destra” e ottimismo sul raggiungimento di un accordo commerciale “entro un anno”. La Germania si è molto velocemente posizionata o riposizionata per un accordo commerciale che è nell’interesse, commerciale economico e finanziario di entrambe le parti. È bastato che l’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione europea diventasse un fatto inevitabile per mettere tutto sui binari giusti.



Per anni ci siamo dovuti sorbire prima previsioni senza senso su una Brexit che non sarebbe mai arrivata, poi su cambi di umore degli elettori che esistevano solo nella testa di chi ne parlava e poi visioni apocalittiche sul “business” che abbandonava la City, gli uffici che chiudevano, gli scaffali vuoti, le medicine e i beni di prima necessità che scarseggiano, code bibliche in entrata e in uscita. Nella migliore delle ipotesi con la Brexit gli inglesi stavano firmando la loro condanna a morte. La parte più divertente è stata quella in cui riempivano le cronache di problemi economici inesistenti che però servivano a mantenere la narrazione di una crisi già in atto. A un certo punto di fronte al calo della disoccupazione aiutato anche dalla valuta debole qualcuno, disperato, spiegava che questo alla fine sarebbe stato un problema per via dei maggiori costi per imprese e consumatori.



La realtà dei fatti è che l’Unione europea e la Germania in testa non hanno alcun interesse ad avere un rapporto conflittuale con la Gran Bretagna in questa fase. L’economia globale rallenta e i Paesi dove esportare liberamente non sono più una commodity; la bolla cinese fa paura. Soprattutto l’Unione europea rimane una costruzione disfunzionale che sicuramente non sopravviverà come la conosciamo se arrivasse una crisi vera.

Questa è stata fin dall’inizio la grande scommessa della Brexit e cioè l’uscita da un’organizzazione, l’Unione europea, troppo ingessata, con troppi difetti strutturali e con squilibri interni in continuo peggioramento. Quello che si perde è molto meno di quello che si guadagna in termini di flessibilità in un mondo che sta per cambiare al netto di una debolezza politica ed economica, dell’Unione, che avrebbe comunque permesso un buon accordo commerciale in tempi ragionevoli.

Quindi non ci saranno né terremoti, né invasioni di cavallette o altre piaghe bibliche per gli inglesi e come da copione la questione sarà sempre di più, anche agli occhi degli osservatori internazionali e delle altre superpotenze, la disfunzionalità del progetto europeo e soprattutto della sua moneta ancora più chiare dopo l’uscita della Gran Bretagna. Nessuno si preoccupa della disfunzionalità della Gran Bretagna, delle sue relazioni con le ex colonie o del suo rapporto a questo punto privilegiatissimo con gli Stati Uniti, ma dell’Unione europea sì, perché chiunque ha gli occhi per vedere si rende conto dell’enorme rischio che cova. Così il progetto europeo sicuramente non funziona e quindi bisogna solo capire come finirà perché nulla fa intravedere una volontà riformatrice a partire da un modello economico sorpassato dagli eventi almeno dal 2008.

Alla fine gli elettori inglesi hanno capito di più dei “loro politici” semplicemente non fidandosi di quello che vedevano dall’altra parte del canale; non hanno comprato la narrazione su quello che l’Europa dice di essere o dovrebbe essere, ma quello che c’è. Pensiamo solo all’incredibile assenza sul dossier libico. Sulle questioni capitali alla fine la “gente” prende le decisioni giuste nonostante tutta la propaganda.