I resoconti della telefonata tra Boris Johnson e Angela Merkel di ieri mattina non hanno fatto benissimo alla sterlina, vicina ai minimi di sempre, né ai negoziati sulla “Brexit”. A quanto pare non ci sarebbero le basi per una trattativa che superi il rischio di un’uscita senza accordo. Ovviamente nessuno sa cosa si siano detti il primo ministro inglese e quello tedesco, ma questo è quello che è filtrato sugli organi di informazione e che, almeno in parte, è stato recepito dai “mercati”. Donald Tusk ieri a metà giornata ha “twittato” in modo un po’ scomposto accusando Johnson di voler scaricare, mediaticamente, la responsabilità del fallimento della trattativa sull’Unione europea. Non ci scandalizziamo particolarmente. Il Governo inglese ha pubblicato ieri mattina un documento di 160 pagine titolato “No-deal readiness report”; la fase negoziale attuale consiglia di leggere tutto con la giusta prospettiva, però sembra che i negoziati si stiano avvelenando.
A oltre tre anni dal referendum la questione Brexit continua a perseguitarci e a condizionare la vita politica inglese. I mercati sono ancora in sostanza convinti che in qualche modo si troverà una soluzione non traumatica e tutto continuerà, più o meno, come prima. Di certo il rischio di un’uscita traumatica non è sostanzialmente prezzato. In questi tre anni il contesto economico e politico globale è cambiato radicalmente. Il presidente degli Stati Uniti non è più un democratico, ma Donald Trump. L’America ha iniziato e non ha ancora finito una guerra commerciale con la Cina che non si è ancora conclusa e che ogni giorno ci presenta nuovi elementi. La Cina sta affrontando l’emergenza politica delle proteste a Hong Kong. Il Pil tedesco nel 2016 cresceva dell’1,9% mentre oggi l’economia tedesca non solo è in recessione, ma manda segnali molto preoccupanti con un 2020 che potrebbe essere bruttissimo. Gli Stati Uniti stanno per ratificare dazi contro le esportazioni europee.
Il mondo di ottobre 2019 è molto diverso da quello di giugno 2016; sicuramente lo è dal punto di vista finanziario ed economico. La narrazione che abbiamo sentito in questi tre anni, in una sorta di clima da propaganda di guerra, era tutta concorde sull’errore colossale della Gran Bretagna che non avrebbe futuro fuori dall’Unione europea e che rimane l’unico orizzonte possibile. Questa narrazione deve come minimo essere “registrata” sulle condizioni di ottobre 2019 che sono radicalmente diverse da quelle del 2016. È possibile uno scenario in cui rapporti tesi o molto tesi tra Cina e Stati Uniti ci accompagnino ancora per un bel pezzo e che queste tensioni obblighino l’Europa e l’Unione europea a un profondo ripensamento del suolo ruolo del mondo. Quello vecchio non sembra più essere proponibile.
Se il modello europeo è obsoleto e non è più vincente nel nuovo mondo evidentemente dovrebbe cambiare anche la nostra lettura delle trattative sulla Brexit. L’Unione europea ha un modello economico, fondato sulle esportazioni, che è palesemente da aggiornare, non investe in tecnologia, infatti non ha campioni nel 5G o nella “new economy”, non compare nella lista delle migliori università globali, ha una legislazione antitrust che lavora contro campioni europei che sono di difficilissima attuazione anche per interessi geopolitici confliggenti dei suoi Paesi membri. Se tornassimo al vecchio mondo quello “pre-Trump” e “pre-guerra commerciale” la vecchia narrazione su Brexit e dintorni probabilmente sarebbe ancora valida e le negoziazioni sarebbero finite da un pezzo.
Questo però non è più uno scenario scontato e quindi dovremmo leggere quello che accade a ottobre 2019 con occhi diversi da quelli di giugno 2016. Il potere negoziale si è spostato a favore della Gran Bretagna. Se l’Europa non cambia, e le resistenze sono fortissime persino in piena recessione, cambiano anche gli interessi a rimanerci attaccati e forse aumentano gli incentivi ad avere un ruolo più libero e flessibile. È un elemento che influisce su qualsiasi accordo verrà trovato e sul potere negoziale delle due parti. Noi italiani in tutto questo continuiamo a essere europeisti acritici e fanatici in un mondo che presenta più alternative di prima. Non c’è nulla di cui essere orgogliosi.