È scontro tra Bruxelles e Londra. Ieri mattina l’Ue ha mandato una lettera di diffida al governo britannico riguardante la legge sul mercato interno, approvata dalla Camera dei comuni, che disciplina la circolazione delle merci tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna. Secondo Bruxelles, l’Internal Market Bill viola il patto sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Se Londra non cambierà la legge entro un mese, l’Ue è pronta ad adire la Corte di giustizia dell’Unione Europea, perché fino al 31 dicembre il Regno Unito è considerato come uno Stato dell’Unione e rimane sottoposto alla Corte di giustizia per tutte le controversie iniziate prima di quella data.



Il Sussidiario ne ha parlato con Annalisa Ciampi, ordinaria di diritto internazionale nell’Università di Verona e Special Rapporteur all’Onu per i diritti umani nel 2017.

La lettera è solo l’ultimo passo. Il provvedimento ha suscitato, fin dalla sua proposizione da parte del governo Johnson, l’immediata reazione di Bruxelles. 



Confermo. Infatti Ursula von der Leyen in un tweet lo ha denunciato come una violazione del diritto internazionale e del principio pacta sunt servanda, il fondamento delle relazioni internazionali. Le hanno fatto seguito il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. 

A dire il vero, ci sono state anche critiche interne: sia da parte dei laburisti che di alcuni conservatori ed ex premier di vario colore politico.

Queste critiche hanno portato ad una parziale modifica dell’Internal Market Bill, che ora richiede un voto parlamentare prima che il governo possa far uso dei suoi poteri in violazione del diritto internazionale, ma è stato comunque approvato dalla Camera dei Comuni.



Arriviamo al dunque: l’Internal Market Bill vìola il diritto internazionale, come dice l’Unione Europea?

Di per sé, l’approvazione di una legge che prevede, al verificarsi di determinate condizioni, la possibilità di adottare misure in contrasto con il diritto internazionale, in questo caso il Protocollo sull’Irlanda del Nord, che fa parte dell’accordo sul recesso concluso lo scorso anno fra Regno Unito e Ue, non costituisce un fatto illecito internazionale.

Com’è possibile?

Di regola, la violazione degli obblighi internazionali consegue a comportamenti concreti. In questo caso, l’effettiva adozione di misure atte a mantenere in assenza di regole e controlli la libera circolazione di merci e servizi dall’Irlanda del Nord al resto del Regno Unito e viceversa. 

Ma la legge è stata approvata dai Comuni.

La semplice predisposizione di un meccanismo che rende possibile l’introduzione di misure sul piano interno come quelle previste potrà essere deplorevole dal punto di vista politico, ma a mio avviso la mera violazione dell’obbligo di buona fede di cui ha parlato la Von der Leyen, nel suo annuncio dell’avvio della procedura di infrazione contro il Regno Unito, non è giuridicamente censurabile

L’Internal Market Bill “minaccia di incoraggiare regimi autocratici che violano il diritto internazionale con conseguenze devastanti in tutto il mondo”. Lo ha detto Amal Clooney, dimettendosi dal ruolo di inviato speciale del Regno Unito per la libertà dei media per protesta contro l’adozione della legge. Come commenta?

In realtà, da che mondo è mondo gli Stati violano il diritto internazionale: il mancato rispetto di obblighi ritenuti esistenti sulla base del diritto internazionale consuetudinario costituisce addirittura il mezzo più frequente per uno Stato o un gruppo di Stati per promuovere la modifica o la desuetudine della regola esistente ovvero la formazione di nuove regole. 

E in relazione ai trattati internazionali?

Sono assai comuni le manifestazioni di volontà degli Stati di disattendere gli impegni presi. 

In che modo?

Più spesso, a livello di dichiarazioni di capi di Stato o di governo o di altri esponenti politici di rilievo. Ma non sono infrequenti i casi di leggi nazionali che prevedono la possibilità per lo Stato di venir meno ai propri obblighi internazionali al verificarsi di determinate condizioni. La Ue fa lo stesso rispetto ai propri obblighi internazionali in seno al Wto.

Vale a dire?

Per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell’Ue, che di quegli obblighi dovrebbe assicurare l’osservanza, le misure europee adottate in contrasto con gli obblighi che discendo dall’appartenenza dell’Ue e degli Stati membri al Wto non sono censurabili in sede giurisdizionale.

Con quale fondamento?

La ratio dichiarata di tale giurisprudenza è la riserva, a favore delle istituzioni politiche europee, del potere di decidere, caso per caso, se e quando violare un obbligo in materia di commercio internazionale. 

Von der Leyen ha stigmatizzato la possibile condotta contraddittoria di Londra se applicherà la legge: come può Londra ignorare gli impegni presi relativamente alla libera circolazione delle merci fra Irlanda del Nord e Gran Bretagna?

Certamente, il fatto che gli Stati siano al tempo stesso “artefici” per così dire e destinatari delle norme internazionali – sono gli Stati che concludono i trattati! – contribuisce all’osservanza degli obblighi internazionali, ma non è una garanzia assoluta. La maggior parte degli Stati rispetta la maggior parte delle regole la maggior parte delle volte. Ma non sono infrequenti i casi di violazioni. Questo vale anche per l’Unione Europea. 

Un esempio?

L’accordo del 2016 fra Ue e Turchia per dissuadere i migranti dal percorrere rotte irregolari per raggiungere i paesi europei. Una palese e macroscopica violazione dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, ma anche dei diritti umani fondamentali di tutti i migranti che ancora continua. 

Allora liberi tutti?

No: le violazioni degli obblighi internazionali da parte dell’Ue così come di qualunque Stato non giustificano le violazioni altrui, né sono da queste giustificate. Il diritto internazionale riconosce in generale la possibilità di contromisure, ma solo come estrema ratio e con rigorosi limiti attinenti alla finalità, proporzionalità, durata eccetera.

Come valuta allora l’operato dell’Unione?

Fa bene l’Ue a reagire dinanzi anche al solo prospettarsi dell’eventualità che il Regno Unito venga meno ai propri impegni rispetto alla libertà di circolazione delle merci da e verso l’Irlanda del Nord. Le reazioni politiche e diplomatiche fanno parte del gioco delle relazioni internazionali, ma mostrano anche il volto ipocrita dell’Europa. 

Si impone una domanda politica: Bruxelles che cosa vuole ottenere intralciando l’Internal Market Bill?

È in corso l’ultimo round di negoziati fra Regno Unito e Ue per la conclusione di un accordo post-Brexit. I nodi da sciogliere rimangono significativi: dai diritti di pesca dei pescherecci europei nelle acque britanniche agli aiuti di Stato alle imprese britanniche, fino alla questione della giurisdizione della Corte di giustizia dell’Ue sull’interpretazione e applicazione dell’eventuale accordo…

Quindi?

Credo che l’Ue con la lettera di intimazione inviata in questo momento e annunciata al massimo livello, da parte del presidente della Commissione, abbia inteso dare un segno di forza rispetto alle proprie posizioni nei negoziati. Una manifestazione di autorità che potrebbe tornarle utile anche di fronte all’opinione pubblica europea, per le concessioni che l’Unione dovrà inevitabilmente fare se si giungerà ad un Brexit deal che faccia cessare la materia del contendere.

Di fatto con la sua diffida l’Ue ha intentato un procedimento formale di infrazione contro il Regno Unito. Quali sviluppi legali potrebbe avere la vicenda? 

La lettera di intimazione formula l’addebito e chiede al Regno Unito di rispondere entro un mese. Il Regno Unito ha già annunciato che risponderà formulando proprie osservazioni. Esaminate queste, la Commissione, se intende proseguire, procede ad emanare un parere motivato con il quale finalizza l’addebito e il termine per porre fine all’inadempimento. A questo punto, la Commissione può adire la Corte di giustizia, la quale se accerta la violazione di un obbligo, può comminare il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità, che può essere finanziariamente assai significativa, da versare da parte del Regno Unito fino a che non ponga fine all’infrazione. Il procedimento di infrazione dura in media almeno tre anni.

Questa sentenza, se pronunciata, vincolerà il Regno Unito?

Sulla base dell’accordo sul recesso, il Regno Unito si è impegnato a rispettare le pronunce della Corte su casi iniziati prima del 31 dicembre e per quattro anni dopo tale data. Un altro obbligo internazionale il cui rispetto potrebbe non essere scontato.

(Federico Ferraù)