LONDRA — Alle 23 ora locale (mezzanotte in Europa) del 31 gennaio si è aperto un nuovo capitolo per il Regno Unito e per l’Unione Europea. Con la Brexit che entra ora in una fase cruciale la Gran Bretagna imbocca una strada nuova, ma anche l’Ue dovrà cominciare a riflettere sulla forma che vuole assumere (maggiore integrazione?) una volta chiuso il capitolo Brexit.



Nel Regno Unito molti hanno festeggiato il raggiungimento di una tappa importante, mentre altri accendevano candele in segno di lutto per quello che sentono di aver perso.

Migliaia di persone si sono radunate a Parliament Square, nella capitale, per assistere al countdown e festeggiare “il trionfo della democrazia”. Questa la ragione prevalente, hanno spiegato coloro che, sfidando il freddo e la pioggia, sono giunti in piazza a Londra dopo viaggi anche molto lunghi da tutto il paese, per unirsi in festeggiamenti simili a un Capodanno (musica, birra, mega schermi e tantissime bandiere del Regno Unito). Hanno espresso la loro gioia e il loro sollievo perché alla fine, dopo oltre tre anni, il voto del referendum è stato rispettato.



Questo punto – la vittoria della democrazia – è stato sottolineato anche da Nigel Farage, fondatore del Brexit Party, ex eurodeputato, celebrity della serata, impegnato a ritagliarsi il ruolo del “villano” come nelle pantomime – parole sue – pronto ad alzarsi in piedi se il governo dovesse sgarrare sulla Brexit. E soprattutto desideroso di appropriarsi di una parte del merito di questo storico avvenimento.

Si è festeggiato anche nei pub del Regno, mentre il premier, Boris Johnson, ha scelto di mantenere un basso profilo, per rispetto di quella parte della popolazione che non ha votato Leave. Sui muri della sua residenza, al numero 10 di Downing Street, proiezioni luminose del Big Ben e delle ore e dei minuti che mancavano al conteggio finale, ma niente altro.



In un video messaggio il premier ha usato toni concilianti, dichiarando di comprendere i diversi sentimenti della popolazione e che il suo lavoro è quello di unire il paese. Per molti, la Brexit è uno “stupefacente momento di speranza, un momento che pensavano non sarebbe mai arrivato”, ha detto, riconoscendo che “per altri c’è un senso di ansietà e di perdita”.

Le divisioni rimangono. In Scozia, per esempio, dove la maggioranza della popolazione aveva votato di rimanere nell’Ue, al posto dei festeggiamenti si è tenuta una veglia fuori dall’edificio che ospita il Parlamento. La delusione degli scozzesi è diventata il cavallo di battaglia del partito nazionalista, l’Snp, determinato a sfruttare l’argomento Brexit per spingere sull’indipendenza.

Nel resto del paese c’è voglia di voltare pagina e si respira un mix di trepidante attesa e di timore. C’è chi spera in accordi commerciali che aprano nuove e migliori opportunità, chi non vedeva l’ora di liberarsi dal giogo delle regole di Bruxelles, ma c’è anche chi teme di perdere i vantaggi che aveva grazie all’accesso al mercato europeo. C’è chi è sollevato per il recupero della sovranità nazionale e chi è deluso per non fare più parte della “famiglia” europea. Ma su una cosa c’è ampio consenso: nonostante i ritardi e le difficoltà, alla fine la democrazia è stata rispettata nel Regno Unito. Il voto popolare ha effettivamente prodotto un cambiamento.

Come sappiamo, in questi anni si è tentato in vari modi di frenarlo, ma a dicembre il popolo si è espresso di nuovo e ha punito chi aveva cercato di bloccare la Brexit. Non è una cosa scontata. In Grecia, nel 2015 si tenne un referendum sotto il governo di Alexis Tsipras e gli elettori votarono “no” (oltre il 61%) all’austerità e al piano dell’Ue per risolvere la crisi. Ma subito dopo i creditori del paese obbligarono il governo Tsipras a scegliere tra il programma bocciato dal referendum e l’uscita della Grecia dall’Ue. Una beffa per gli elettori greci, che hanno assistito alla materializzazione dell’esatto opposto rispetto al loro voto.

Quanto all’Ue, al di là delle dichiarazioni amichevoli nei confronti dei britannici che se ne vanno, non sembra sia stata avviata una seria riflessione sul significato della partenza – la prima – di un paese membro importante. E sulla possibilità che altri seguano l’esempio della Gran Bretagna.

L’unico a ricordare agli altri l’importanza di una riflessione e l’urgenza di un cambiamento all’interno dell’Ue sembra essere il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha definito il giorno della Brexit “un allarme storico” per l’Europa, un campanello d’allarme che “deve risuonare in ogni paese membro, essere ascoltato da tutta l’Europa e farci riflettere”.

Anche in Europa urge un cambiamento, una svolta democratica, un avvicinamento della politica alla gente, se davvero si vuole evitare – in futuro – un’implosione.