No, per ora niente confronto tra Real Madrid e Barcellona. Troppa la paura, fondata, di un’esplosione di rabbia dopo le condanne inflitte ai separatisti catalani per lasciare libero spazio allo sport. Accontentiamoci di un altro derby, non meno incerto e combattuto: la Coppa di Westminster, ovvero quella che oggi, salvo sorprese, deciderà il destino della Brexit. Alla vigilia della conta, l’esito dei match appare incerto. Boris Johnson, finora, ha collezionato solo sconfitte di fronte a un Parlamento che gli rimprovera di aver tentato, maldestramente, di mettergli un bavaglio.
I bookmakers alla vigilia propendono per una nuova bocciatura del Governo contro il fronte laburista, l’agguerrita pattuglia del Remain e, all’opposto, il fronte degli irriducibili che vedono come il fumo negli occhi qualsiasi patto con Bruxelles. Ma a favore del premier gioca lo sfinimento che ha ormai investito sia il Parlamento che l’opinione pubblica dopo tre anni di conflitti pro o contro l’Europa che hanno creato non poco imbarazzo sul futuro dell’economia e della finanza del Regno Unito. È possibile, perciò, che oggi scenda la parola fine sul primo, e finora più grave, strappo sovranista sulla cartina d’Europa. Altrimenti non resterà che il ritorno alle urne. A Londra come in Spagna, dove per la quarta volta di fila gli elettori saranno chiamati al voto anticipato.
Al di là delle alchimie politiche, quasi indecifrabili ormai a ogni latitudine, è già possibile però tentare un primo bilancio di questi anni vissuti tra mille tensioni. Se si pensa ai rischi di una hard Brexit, i risultati sono senz’altro positivi: Londra evita una devastante crisi dell’Irlanda del Nord e, probabilmente, disinnesca la mina della secessione scozzese. La Germania, come emerge dalla risposta positiva della Borsa di Francoforte, tira un sospiro di sollievo evitando una frattura che avrebbe aggravato di non poco la sua recessione.
Il Prodotto interno lordo del Regno Unito non sta soffrendo più di quello di Eurolandia sotto i cieli della recessione. Non è ancora ben chiaro dove possa puntare l’economia inglese post-Brexit, ma è assai improbabile che possa nascere una Singapore oltre Manica, capace di scatenare una guerra commerciale o valutaria nei confronti dell’odiata Unione europea. Certo, è però assai probabile che Londra e Bruxelles, comunque vada a finire, siano destinate a una lunga stagione di dispetti e di screzi, scatenati dallo strappo. E l’Unione europea si troverà a dipendere ancor di più dalla Germania che già ha fatto sapere di considerare eccessivo il peso per le finanze di Berlino del nuovo budget, orfano dei fondi inglesi.
Ne valeva la pena? Certamente no. E probabilmente gli elettori inglesi, caso mai si rifacesse il referendum, voterebbero per restare nell’Unione. Nel frattempo la Gran Bretagna si ritrova una bizzarra frontiera interna al confine dell’Ulster che non servirà a bloccare le presunte invasioni dal Sud evocate dalle fake news che hanno condizionato il referendum del 2016. Tanto rumore per nulla, insomma. Anzi no. Si è perso tempo e si sono persi soldi. Speriamo che l’odissea della Brexit abbia insegnato qualcosa.