La Brexit alla fine è arrivata ed è molto diversa da come era stata prospettata, eppure la “propaganda” continua sugli stessi toni degli ultimi due anni. Parlare di propaganda sembra un’iperbole, ma se pensiamo per un attimo a quello che abbiamo letto e sentito non ci vengono in mente paragoni migliori. Per tre anni i media “ufficiali” ci hanno spiegato che la Brexit comunque non sarebbe mai arrivata perché gli inglesi si sarebbero accorti dell’errore tremendo, che se fosse arrivata avrebbe portato al fallimento la nazione, che l’Unione europea in sede negoziale avrebbe spezzato le reni alla “perfida Albione” facendo leva sul mercato europeo. Comunque, nell’ipotesi remotissima del suo avverarsi, sarebbe avvenuta con scene apocalittiche: scaffali vuoti, medicinali esauriti, code bibliche alle frontiere in uno scenario economico di desolazione. Tutte cose scritte per anni sui principali media italiani in questi stessi termini.



Il Fondo monetario internazionale prevede per il 2020 una crescita del Pil della Gran Bretagna dell’1.3% superiore a quella di Germania, Giappone, Francia e Italia. Reuters, il 20 gennaio, ci avvisava che “1.000 società finanziarie europee stanno pianificando di aprire uffici a Londra dopo la Brexit”; se guardiamo al tasso di disoccupazione in Inghilterra negli ultimi tre anni dovremmo concludere che il meglio deve ancora venire. Bloomberg il 29 gennaio segnalava che per Morgan Stanley il mercato azionario inglese è troppo conveniente per poter essere ancora ignorato. Gli ultimi dati sul mercato immobiliare di Londra, ripresi dal Financial Times a fine gennaio, segnalano un inizio dell’anno promettente sulla base di un mercato del lavoro “in salute”. Non solo non c’è stato nessun collasso economico, ma le prospettive inglesi sono migliori di quelle dell’eurozona che ancora, imperterrita, propina agli italiani, nel 2020, un aumento dell’Iva che avrà conseguenze sui consumi interni e fiducia dei consumatori prevedibilissime e devastanti.



Il negoziato tra Gran Bretagna e Ue è svoltato quando l’Inghilterra, correttamente, ha completamente ignorato le istituzioni senza potere europee, alla faccia della superiore democrazia dell’Unione, per parlare direttamente con Angela Merkel. Il cancelliere tedesco pressato dalla crisi e dalle proprie imprese ha fatto l’unica cosa possibile per non perdere il mercato inglese. La Gran Bretagna non paga nemmeno il dazio della subalternità agli Stati Uniti, quella che ci hanno venduto per tre anni come inevitabile, come provano le recenti novità sul 5G.

La narrazione ufficiale su Brexit e dintorni degli ultimi tre anni è stata completamente partigiana e spiegabile solo all’interno di uno scenario da “propaganda di guerra”. Oggi la narrazione continua; basta leggere i commenti dei giornali che addirittura si chiedono quando l’Inghilterra pentendosi e con il capo cosparso di cenere chiederà la riammissione all’Unione europea. Siccome l’Ue è un’ideologia e una religione bisogna continuare a propagandare l’unico messaggio possibile e cioè che chi lascia il progetto o è fascista o è pazzo o tutti e due. L’Unione non esiste sul piano geopolitico, esistono gli Stati che se ne servono utilizzando le sue istituzioni a partire dall’euro in una competizione senza esclusione di colpi. La realtà dell’Unione europea emerge nella vicenda libica o nelle ricette economiche che ormai si considerano fallimentari, datate e quindi spiegabili solo in assenza di buona fede.

Si continuerà però a dire dell’errore clamoroso della Gran Bretagna nonostante qualsiasi dato economico e qualsiasi evidenza un po’ come nessuno può dire che si sta perdendo la guerra fino all’ultimo secondo. Non c’è un prima dell’Unione, né può esserci un dopo. Il prima dell’Unione sono i “campi di concentramento costruiti dagli europei” o “l’Europa che sconfigge il nazismo” in un tentativo di riscrittura della storia che fuori dall’Europa appare per quello che è: ridicolo e inquietante. Il dopo può essere solo il deserto economico e democratico. Un’impostazione che sicuramente aiuta l’Europa a “cambiare dal di dentro”.

Chiudiamo prendendo a prestito le parole di Ambrose Evans-Pritchard dal Telegraph: “La questione fondamentale è chi governa questo Paese. Vogliamo essere una democrazia che si governa sotto i nostri tribunali o una regione di un regime sovranazionale più alto che continua ad acquisire potere, oltre la sua capacità di esercitarlo competentemente, attraverso il metodo Monnet dei trattati striscianti (Monnet Method of treaty creep)?”.

Il problema per noi italiani è doppio perché l’Europa continua a essere quella descritta da Evans-Pritchard, con trattati che spostano sovranità senza alcuna consultazione, senza trasparenza e in violazione delle Costituzioni e in più a noi tocca il ruolo della colonia in un’unione dove i debitori sono alla mercé dei creditori come, ricordiamo, ci ha spiegato George Soros. Il conto dell’appartenenza all’Unione europea oggi dovrebbe essere chiaro. Non è gratis e la mitica obiezione che “non abbiamo fatto le riforme” ormai è patetica; un po’ perché sappiamo cos’è successo in Francia un po’ perché non sposta il problema di un circolo che è palesemente vizioso. Pensiamo solo a cosa ci toccherà fare nel 2020, con quello che accade, per rimanere in questo club di cui agli altri importa solo per convenienze che ormai sono di breve periodo. Cose che sono letteralmente inspiegabili, incomprensibili per un osservatore americano, giapponese, russo o cinese che si chiedono: “ma vi volete davvero così male?”, “è masochismo?”, “pensate davvero che duri?”.