LONDRA — Come sono cambiati i toni sulla Brexit! Ricordate le frasi minacciose, i toni stizziti, gli scenari catastrofici presentati da giornali e tv, la paventata fuga di aziende e broker dalla City, l’enfasi data alle manifestazioni anti-Brexit? Un anno fa e anche oltre, ricordate le analisi sul crollo del Pil britannico, sull’aumento dell’inflazione, sulle inevitabili rivolte sociali post-Brexit?



Ora non fanno più tendenza. Hanno lasciato spazio a un certo ottimismo post-elezioni. Ora i politici di Bruxelles scambiano frasi ammiccanti con i colleghi britannici che improvvisamente sono diventati “parter” e “amici”. “Spero sia un arrivederci, non un addio”, scrive David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, sul suo account Twitter. E poi i cori struggenti con gli europarlamentari che si tengono per mano… E che dire del sindaco di Bruxelles che organizza una festa nel cuore della città a base di musica ed effetti luminosi, con la proiezione dei colori della Union Jack – la bandiera del Regno Unito – sugli edifici che delimitano i quattro lati della Grand-Place?



Anche qui da noi hanno organizzato festeggiamenti (mentre scrivo già si sentono i primi botti), ma che lo facciano a Bruxelles stupisce un po’. Prima ancora di affrontare i negoziati per le relazioni commerciali si è sviluppato un certo sentimentalismo, ora che la Gran Bretagna se ne va per davvero. Ha preso forma un vero e proprio cambio di narrativa, quasi una certa ammirazione da parte europea nei confronti del Regno Unito che, se prima era descritto come il paese che con la Brexit si dava una mazzata sui piedi, che si avviava verso un futuro di lugubre isolamento, ora ha riacquistato la sua dignità di paese sovrano che ha scelto di fare le cose a modo suo e con il quale si spera di fare business in futuro.



Se Regno Unito e Unione Europea sono paragonabili a una coppia che divorzia, si tratta di un divorzio amichevole. I toni dei media sono cambiati. La BBC, per esempio, che ha appena annunciato un taglio di ben 450 posti di lavoro nelle sue redazioni, usa toni molto diversi rispetto a qualche mese fa. Dopo le elezioni di dicembre è stata oggetto di critiche per una copertura non imparziale e il nuovo governo ha cominciato a mettere in discussione l’obbligatorietà del pagamento del canone (154,50 sterline l’anno), fonte principale di sussistenza della Corporation.

Toni cambiati a parte, sono i dati economici a stupire. I prezzi delle case nel Regno Unito sono in aumento (+1,9% a gennaio rispetto allo stesso mese di un anno fa, secondo Nationwide). I nuovi mutui hanno raggiunto un picco che non si vedeva dal 2015, grazie anche ai tassi d’interesse bassi e alla crescita dei salari. La disoccupazione è al 3,8% secondo l’ultimo dato dell’Office for National Statistics.

E l’esodo della finanza da Londra? Gli scenari sulla City che si avviava a perdere il suo status di centro finanziario d’Europa, la migrazione in massa delle banche a Parigi o Francoforte? Non solo non sono ancora cominciati, ma nemmeno se ne parla più.

Il 31 gennaio 2020 passerà alla storia come il giorno in cui il Regno Unito è ufficialmente uscito dall’Ue, dopo 47 anni. Da questo momento inizia la fase di transizione, periodo che il premier britannico Boris Johnson è determinato a concludere il 31 dicembre di quest’anno, contrariamente al parere dell’Ue. Cosa significa in concreto “fase di transizione”? Vuol dire che il Regno Unito cessa di avere rappresentanti a Bruxelles, che rimane nel mercato unico mentre si stipulano nuovi accordi commerciali, che continua a pagare la sua quota al bilancio Ue e a sottostare alle regole Ue. Per questo il governo non vuole prolungare oltre il 31 dicembre.