L’accelerazione delle richieste di adesione ai Brics non è solo il segno di un rinnovato interesse, ma più in generale di «una visione alternativa dell’ordine mondiale» che è stata promossa dopo la Seconda guerra mondiale, poi ampliata e approfondita dal crollo dell’Unione Sovietica. Ne parla a l’Humanité l’economista Julien Vercueil, secondo cui il riavvicinamento tra Russia e Cina «ha avuto un effetto attrattivo sui Paesi meno influenti: vogliono poter giocare su più livelli». Questo è il caso di Argentina, Algeria, Indonesia, Turchia e Arabia Saudita, tra i Paesi interessati ai Brics, che però non vogliono tagliarsi fuori dal mondo occidentale.



D’altra parte, è ancora presto per pensare che possa diventare un gruppo in grado di scuotere l’ordine internazionale: «L’asimmetria tra i Paesi membri è sorprendente», osserva Vercueil, secondo cui i Brics hanno il vantaggio «di integrare una relazione bilaterale molto sbilanciata con un forum di discussione plurilaterale, in cui la Cina, ovviamente, continua ad avere tutto il suo peso, ma che sulla carta è meno sbilanciato perché fa parte di un collettivo». Peraltro, i Brics non sono in grado di cancellare la rivalità tra Cina e India, ma «la flessibilità del forum gli consente di evitare di affrontare questioni controverse e di concentrarsi su quelle su cui c’è consenso».



ADDIO DOLLARO? LE PROSPETTIVE PER LO YUAN

C’è poi il desiderio comune di affrancarsi dal dollaro, infatti ora alcuni Paesi usano lo yuan per i loro scambi commerciali. Per l’economista è però ancora presto per ritenere ciò una minaccia per la valuta statunitense del lungo periodo. «Lo yuan non è una vera e propria valuta internazionale, a differenza del dollaro, dell’euro, ma anche dello yen, della sterlina o del franco svizzero, ad esempio, che possono fungere da valute di riserva in misura piuttosto ampia». Per acquisire questo status, spiega Julien Vercueil a l’Humanité, «le autorità finanziarie cinesi dovrebbero favorirla liberalizzando il conto capitale, cosa che al momento non avviene. Di conseguenza, rimane confinata al commercio bilaterale, il che può limitarne l’utilità in caso di squilibrio commerciale bilaterale strutturale, poiché questo non può essere compensato nella stessa valuta da un deficit con un altro partner». In attesa che lo yuan venga “internazionalizzato”, probabilmente assisteremo ad un ulteriore aumento del commercio bilaterale in yuan e del commercio trilaterale, con partner selezionati come l’Arabia Saudita. «Ciò darà maggiore importanza allo yuan nelle statistiche del commercio mondiale. Ma, a mio avviso, non c’è nulla che faccia pensare che questo, da solo, possa costituire un’alternativa globale al dollaro come valuta di riserva e di scambio internazionale».



“POSSIBILE NUOVO POLO INDUSTRIALE MONDIALE”

Più che assistere ad una transizione verso il mondo multipolare, per Vercueil c’è «una frammentazione del mondo economico, con l’innalzamento di barriere al commercio internazionale in un numero crescente di Paesi e segnali di un graduale ritorno dello Stato nell’economia». Alla luce di ciò, gli scenari sono molteplici. L’economista parla di alternative configurazioni, dal «collasso caotico in cui il confronto prevarrebbe sulla cooperazione, portando il mondo da una crisi all’altra» alla «regionalizzazione delle economie mondiali, in cui il commercio sarebbe organizzato per blocchi macroregionali, lasciando poco spazio al commercio tra blocchi»; non si può escludere neppure «una duopolizzazione del mondo, che riprodurrebbe, mutatis mutandis, l’ordine economico internazionale della Guerra Fredda, in cui la Cina sostituirebbe l’Unione Sovietica come polo normativo e industriale». D’altra parte, potrebbero emergere «nuove forze economiche a seguito di una grave crisi della finanza internazionale – e forse del dollaro». In tal caso, potrebbero raggrupparsi per una cooperazione più stretta e, alla luce delle loro capacità istituzionali, tecnologiche e scientifiche, formare «un nuovo polo industriale e di ricerca su scala globale».