E’ stato messo a punto il primo protocollo al mondo per gestire i casi gravi di bronchioliti nei bambini, un’infezione polmonare molto pericolosa soprattutto se si manifesta nei primi mesi di vita. I contenuti, come spiega La Verità stamane, sono stati pubblicati in uno studio su Lancet e Clinical Medicine, coordinato dai ricercatori di UniCamillus e promosso dall’Università Paris Saclay. Secondo gli esperti rappresenta un vero e proprio punto di svolta nel controllare in maniera efficace una infezione respiratoria che rappresenta la prima causa del ricovero ospedaliero e in terapia intensiva nei bimbi al di sotto dell’anno di età, e che può portare ad una insufficienza respiratoria molto critica, portando addirittura alla morte.
La letteratura scientifica si basava, fino alla pubblicazione dello studio, sui protocolli per i pazienti ricoverati in pediatria generale, non aiutando quindi ad affrontare emergenze dovute a epidemie e o ad affrontare i casi più gravi che richiedono la terapia intensiva.
BRONCHIOLITI, PRIMO PROTOCOLLO PER I NEONATI GRAVI: IL COMMENTO DELLA PROF GUALANO
«Coniugando la ricerca basata sui migliori studi di riferimento con i dati della nostra realtà quotidiana», sono le parole della professoressa Maria Rosaria Gualano, professore associata di Igiene all’Università medica internazionale «siamo stati in grado di raggiungere questo importante traguardo. Ci aspettiamo ottimi risultati dalle applicazioni del protocollo, sia dal punto di vista del miglioramento degli outcome clinici, sia da quello economico, visto il buon livello di costo-efficacia di questo approccio».
Le nuove linee guida sulle bronchioliti, per evitare il collasso delle Uti e per proteggere i neonati che si trovano nelle situazioni più delicate, prevedono una serie di azioni per formare e preparare il personale sanitario a riconoscere i casi più seri, di modo da veicolare gli stessi nei reparti di emergenza con dei criteri che permettano di identificare vari livelli di gravità, evidenziando anche le modalità più appropriate e meno invasive riguardanti nutrizione, idratazione e terapia farmacologica, con l’obiettivo di evitare di intubare i piccoli pazienti.