Tre mesi, a partire dal 28 aprile a Barcellona, concludendo il 25 luglio a Monza. Bruce Springsteen mancava dall’Europa dall’estate 2016, sette lunghi anni sconvolti dalla pandemia di Covid che hanno impedito a lui (e ai suoi colleghi) di esibirsi quando erano pronti a farlo. Nel 2020 era infatti uscito Letter to you, il primo disco con la E Street Band dopo sei anni, registrato già ai tempi del Covid ma che non aveva potuto presentare dal vivo. E proprio da lì è ripartito tutto. “È difficile da credere adesso, ma i vostri figli torneranno a scuola, le chiese verranno riaperte e saranno piene. Abbraccerete e bacerete di nuovo i vostri parenti alle riunioni di famiglia. Ricomincerete a urlare per ordinare un drink e per parlare con i vostri amici in un locale affollato. Tornerete a comprare hot dog nello stadio degli Yankee. Camminerete di nuovo per le strade della vostra città liberi e felici. Potrete tornare a ballare con un perfetto sconosciuto su una pista da ballo, e 50mila persone torneranno a gridare a squarciagola da qualche parte nel New Jersey” aveva detto durante una puntata del programma E Street Radio che teneva in quel periodo su Sirius XM. Ma soprattutto aveva aggiunto: “Quando la pandemia sarà finita organizzerò il party più selvaggio che avrete mai visto e tutti voi, amici miei, sarete invitati”.



È stato di parola. Questo è stato il senso di un tour cominciato negli Stati Uniti il primo febbraio e poi approdato in Europa. Ogni concerto è stata una accidenti di festa indimenticabile. Chi lo ha visto, lo sa. Seppur con qualche difficoltà dovuta all’età (problemi di voce e anche un paio di rovinose cadute steso per terra inciampando sui gradi del palco in un paio di occasioni cosa che a lui, con quel look da operaio in pensione si perdonano, lo stesso non si farebbe al sempre perfettino Mick Jagger), Bruce Springsteen è apparso ogni sera caricato a mille, con una voglia indomabile di suonare, di suonare la chitarra (lo ha fatto come ai vecchi tempi, riportando lo strumento in primissimo piano nei suoi concerti), una grinta e un desiderio fortissimo di divertire e divertirsi. D’altro canto lo aveva detto anche questo nel 2020 e lo ha ripetuto ogni sera in uno dei momenti più emozionanti di questi concerti, il brano Ghosts: “Sento il sangue tremare nelle mie ossa, sono vivo e sono qui fuori per conto mio, sono vivo e sto tornando a casa”. Ecco qual è stato lo spirito di questo tour sottolineato anche dal brano che quasi ogni sera apriva gli spettacoli: “Abbiamo fatto una promessa che abbiamo giurato di ricordare per sempre, nessuna ritirata, nessuna resa, come soldati nella notte d’inverno con un voto di difendere, nessuna ritirata, nessuna resa”. Non tutti sono capaci di rimanere fedeli a quello che avevano promesso nel corso della vita ed è forse questa la testimonianza più grande che questo piccolo uomo del New Jersey ci ha dato, in un mondo che si sta disfacendo ogni giorno, dove menzogna e tradimento sono le parole d’ordine.



Ma non solo. Ha trovato ogni sera uno spazio per parlare dell’età che avanza e della morte inevitabile che incombe su ognuno di noi, dando parole di conforto e di speranza. Si è preso il suo tempo, in questi tre mesi in Europa., Springsteen. In Irlanda tra un concerto e l’altro è andato a visitare il paesino da dove proveniva il ramo paterno della sua famiglia. Stessa cosa ha fatto in Olanda. Quasi con mestizia, con pacatezza, come avvertisse su di sé il peso di una lunga vita, come voler dare una sorta di commiato.

La E Street Band è apparsa più rodata che mai, una fusione riuscitissima con lo spirito (e la musica) del tour delle Seeger Sessions e quello usuale di sempre.



C’è chi si è lamentato di una scaletta troppo rigida, ogni sera gli stessi pezzi con pochissime variazioni. Ci sta. A una certa età non si può fare diversamente, come Bob Dylan c’è solo lui. È stato uno spettacolo pensato nei dettagli. Ecco perché anche un brano minore come Darlington County ha avuto un suo perché: siamo andati per ballare e lui ci ha fatti ballare.

A voler fare le pulci, si potrebbe dire che peccato non aver incluso nelle scalette un brano come Sleepy Joe’s Café che non solo avrebbe onorato uno dei suoi migliori dischi di sempre, Western Stars, ma che musicalmente con i fiati a disposizione sul palco sarebbe stata una scelta musicale perfetta ed adeguata.

Lo ha spiegato benissimo in una recente intervista Nils Lofgren perché questa scelta quasi blindata del repertorio: “Cambiamo qualche canzone qua e là, ed è bellissimo. Ma quando fai sempre gli stessi pezzi in concerto raggiungi un livello di profondità notevole, soprattutto perché inizi a sentire molti dettagli di ciò che fanno gli altri. E inevitabilmente questa familiarità genera un’interazione molto più stretta, un altro livello di intesa musicale. Se ogni sera vai a braccio e nemmeno il tuo cantante sa quale sarà il prossimo pezzo, ti puoi scordare quella profondità. Quello che facciamo è tutta roba buona. Abbiamo, e Dio solo lo sa, probabilmente il repertorio più esteso di qualunque altra band al mondo. E quando Bruce sarà pronto a farlo, chiamerà altre canzoni, cosa che peraltro è già successa”. E chi siamo poi noi, per dire a Bruce Springsteen che cosa debba o no suonare?

Si sono letti sui social commenti tipo “Chi si esalta per questi concerti di Bruce versione settantenne milionario, evidentemente non ha potuto vedere e soprattutto sentire cosa riusciva a fare negli anni 70 o 80 o 90. Tutta altra musica, tutto altro feeling (…) Ormai non è più lo Springsteen che abbiamo amato ma la rappresentazione di sé stesso”. Qualcun altro ha parlato di “spettacolo nazional popolare”.

Non è così naturalmente, ma a volte nella vita bisogna avere il cuore semplice. E bisogna aver  sofferto molto e desiderato altrettanto un abbraccio forte e vigoroso per apprezzare un concerto. Io preferisco riportare un altro commento, che condivido e sento mio: “Al concerto di Bruce è come se il cuore ti scoppiasse, come se urlasse che è troppo piccolo per tutto l’amore e l’emozione che provi in quel momento. Bruce è, ogni volta, ricordo, nostalgia, la voglia di essere buoni, la bellezza del piacere di sentirsi bene”.

Già, è difficile in un concerto rock provare un sentimento analogo: in un mondo cattivo vedere sul palco qualcuno che ti invita a essere buono. Ce ne sarebbe abbastanza per ringraziare di questi concerti, ma io mi porto a casa la sua chitarra devastante, implorante, rabbiosa, dolorosa, che ho sentito in brani come Backstreets o Prove it all night. E per una sera o due posso dire di aver provato quello che avrei provato se lo avessi visto negli anni 70. E tanto basta.

A Monza, nell’ultimo concerto di questo tour europeo, ha detto al pubblico “Torneremo”. Il suo vecchio tastierista degli esordi David Sancious, in una recente intervista ha detto che Springsteen avrebbe intenzione di portare in tour l’anno prossimo i brani del suo recente disco di cover Only the strong survive e di un altro disco di cover R&B e soul che avrebbe già registrato. Vedremo. Probabilmente uno spettacolo del genere non piacerebbe neppure questo ad alcuni vecchi fan. Sarà comunque una grande festa e noi ci saremo.

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